La Mostra-Installazione-Viaggio LA CONCA DEL TEMPIO: Ezra Pound e Sigismondo Malatesta di Ugo Amati e Simona Rinciari, che si tenne a Montefiore Conca (RN) dal 16 giugno al 15 luglio 2011, fu accompagnata da una serie di testi.
Il primo è il catalogo.
In esso, tra gli altri conributi (Ugo Amati e Simona Rinciari, naturalmente, Gillo Dorfles, Mary de Rachelwitz, Piero Sanavio, Luca Cesari e Rita Giannini), ce n'è uno mio.
Il riferimento bibliografico esatto è "Come giunse beltà a tanto buio", in Ugo Amati e Simona Rinciari / La conca del tempio: Ezra Pound e Sigismondo Malatesta Pubblicazione Libri Scheiwiller, Milano, 2001, pp. 17-22.Dopo dieci anni penso che il catalogo sia ormai introvabile in commercio, anche una decina di copie si trovano sicuramente sparse in alcune biblioteche pubbliche.
E' giocoforza, quindi, pubblicare qui il mio intervento. Cercherò di inserire le immagini che lo corredavano, aggiungendone alla fine qualcuna che non trovò spazio.
Come giunse beltà a tanto buio
di Moreno Neri
Bisognerà ripulir la testa, levare, a colpi di sapone e bastone, i pregiudizi da difendere, le passioni e i desideri da coltivare, le paure da sedare. «Con l’aiuto di quegli dei che presiedono a questo genere di lavori», avrebbe detto Pletone, s’accenderà, allora, un lume, affiorerà il dono della chiaroveggenza e quello della libertà. Allo sguardo dell’uomo i confini appariranno più sterminati di quelli cui è subordinato ed assuefatto. Non è detto che quel raggio di sole debba restare un lampo. Taluno coltiverà in permanenza quest’altro e ulteriore modo di sentire il mondo come un’intima e incombente necessità.
Di tali allusioni v’è traccia nella consegna, nel 1439, di Giorgio Gemisto Pletone a Paolo Toscanelli della preziosa Geografia di Strabone. Cristoforo Colombo raccolse dalle mani fraterne del matematico ed astrologo fiorentino, che poi v’aggiunse a suggello il suo Gnomone solstiziale in S. Maria Novella, le pagine preziose ed un mappamondo. Non il diametro d’un piano, com’era norma per gli ingabbiati aristotelici tolemaici, ma la circonferenza d’una sfera platonica fu l’ostinata idea dell’ulisside genovese. Verrà poi Copernico a far entrar la terra in orbita e a porre il sole al centro. Pure qui l’impronta di Pletone s’osserverà, giacché Copernico s’appellerà all’autorità degli antichi maestri: Pitagora e Filolao pitagorico. I versi aurei pitagorici Marsilio Ficino tradusse da un manoscritto di Pletone, altro dono del Mistagogo di Mistrà a Cosimo de Medici. Di più ancora, le parole di Copernico sul sole sono un’eco precisa, distinta, del Commento al Sogno di Scipione di Macrobio, quello stesso testo che ispirò l’apparato simbolico della Cappella dei Pianeti del Tempio Malatestiano di Rimini. Chi se ne porrà al centro, con la sullodata testa ripulita, arretrato a formare un vertice d’un triangolo equilatero come emanato dai canestri solari alla base delle due colonne zodiacali, osserverà, a fatica senza il canocchiale di Galileo, Helios superno al centro.
Aveva dunque ragione Pletone ad indicare in Aristotele il grande responsabile del senso di materializzazione della realtà, della chiusura degli orizzonti in Occidente ed era naturale che la cristianità trovasse in lui il filosofo del suo cuore. Ma degli arcani segreti certuni ancora dovevano, ed altri dovranno, esser detti inter nos, inter pares e non ancora inter homines.
Pound con i suoi siderei occhi vide tutto questo, percepì, oltre la storia visibile, una arcana. Quanto ampio sia stato l’influsso in Pound dell’elemento pagano e magico, di scuole esoteriche e di dottrine tradizionali, quali i suoi stretti legami con famosi esoteristi del Novecento appare col procedere degli studi che a questi aspetti hanno dedicato Boris de Rachewiltz, Leon Surette, Sharon Mayer Libera e Demetres Tryphonopoulos. Precise indicazioni ne conseguono: innanzi tutto quella della scienza del mantenimento delle giuste proporzioni, strettamente collegata alla costruzione del tempio. In versi poi espunti dal testo definitivo dei Cantos s’esplicita
Gemisto, un vecchio che parla agli dei.
Venne più tardi.
Più tardi Alberti che il pittore dovrebbe
indurre la fame negli uomini per costruire.
E così crebbe, fiorì in un attimo,
papavero di mare, papavero luteumve.
Alla porta del mare, papavero di mare, papavero luteumve.
Alla porta del mare,
e alla porta del sole
afferrato nella pietra
un canto afferrato nella pietra.
Si resterà dunque ancora sordi alle parole di Roberto Valturio sul Tempio riminese? Si resterà ancora confinati a fissare lo specchio deformante del cristianesimo di cui s’è detto e del crocianesimo, ostile a qualsiasi valutazione metafisica e avverso ad ogni approfondimento simbolico? O si vorranno indagare «gli elementi dottrinali essenziali attinti ai profondi penetrali della filosofia» da Sigismondo studiati e fatti scolpire con eccellente arte da lapicidi e scultori nello splendido tempio?
«Felice è la città dove i filosofi sono re e i re sono filosofi» è la sentenza di Platone che non ha mai smesso di guidare gli uomini assennati. Pletone come Macrobio ci descrive un’escatologia dove l’immortalità divina era destinata agli uomini di Stato che avevano ben servito la comunità umana e a tutti coloro che avevano conservato, aiutato ed accresciuto la patria. Fu una breve età dell’oro quella che Sigismondo, uno dei maximi muratores, fece rinascere sotto il segno del Granchio, porta del sole secondo Macrobio e Porfirio. Emulò gli antichi segni dell’antica età dell’oro augustea, cantata dal pitagorico Virgilio, l’arco e il ponte, con un castello ed un tempio. Mantenne nella patria le proporzioni.
Si avrà ancora l’accorgimento di interpellare Charles Mitchell e la fievole presenza di Pletone si staglierà limpida quale l’ispiratore, diretto o indiretto, di talune delle immagini esoteriche del Tempio Malatestiano. Le conferenze di Mitchell sono del 1951 e del 1968. Ma già Pound decenni prima, con la scorta del suo volume di Charles Yriarte (al centro nella sua cassa di libri che si fece spedire da Parigi a Rapallo) e i successivi inesauribili e forsennati studi, guardato di sbieco da Massera a Rimini, mentre a Cesena, diversamente dal bibliotecario di Rimini, gli fu prossimo e devoto Dazzi, puro custode dell’istituzione di Novello Malatesta, accenna nei Cantos alla radice del Tempio.
«Verum ita gentilibus operis implevit» disse Pio II. Per qualche nuova dracma episcopale si rinverrà ancora chi nega l’infallibilità papale, chi si guadagna da vivere diffondendo ed illustrando le opere del Tempio, disonorando al tempo stesso gli dei, i geni, le virtù, gli eroi e i simboli che in esso si dispiegano e si venerano. Vero esempio di usura intellettuale. Sigismondo «amava perdutamente Ixotta degli Atti». Indicava Pletone che tra i doni che gli dei diedero al nostro corpo sia per servire la nostra parte immortale e dominante, sia per approfittare del suo aiuto, sia per assaporare certi piaceri che ci sono propri, istituirono quest’unione dei due sessi, così seducente e piacevole. Quando «la verga di Sigismondo faceva dio nel ventre della sua Venere ed Ixotta godeva del suo Marte di ritorno dalle guerre», archetipicamente, il Signore e la Signora di Rimini avranno associato i loro movimenti col ritmo delle onde, gli odori salmastri con l’odore del sesso. «HUDOR ET PAX. Ai ritmi potenti conseguono gli umori, la spuma di Venere, la pace, la beatitudine. Se ne troverà l’illustrazione nella formella denominata Gli influssi della luna: come Venere, anche Sigismondo approda infine alla riva di un’isola beata. Se intuiamo una conoscenza inconscia dell’ipostasi della nostra genesi acquatica, è nell’unione dei due sessi che la cogliamo: «La luce penetra nella grotta. Io! Io!» Con questa acutezza Pound vide, similmente a Porfirio nell’antro delle ninfe, la necessità dell’illuminazione nel coito, quel raro momento di natura regia e di numeri d’oro. Già Platone aveva insegnato che «tutto quest’ordine, l’Artefice taglio per il lungo, facendone di uno due, una metà sopra l’altra, e il loro centro congiunse in forma della lettera x». Questa meraviglia è presente nell’etimologia della parola sesso, sezionato. Altro guadagno si raggiunse nel Rinascimento con la felice espressione «copula mundi». Pound l’accenna: «Eleusis è molto ellittica». Cosicché il coito non è e non dev’esser altro che il rito, la ierogamia, o meglio la reminiscenza dell’estasi da cui l’Uno si fece Due. Così dunque – insegna una tradizione esoterica- l’uomo è virile per i genitali e la parola, ma passivo per il cervello, mentre la donna aperta alla fecondazione fisica e animica, è, a sua volta, fecondatrice nello spirituale. Perciò il coito congiungendo i poli opposti dei suoi membri chiude le sue sedi genitale e boccale per la ricostituzione dell’ellissi. Quale migliore immagine per la salda unione di Sigismondo e Isotta! E la sua plastica rappresentazione la si volle espressa in simbolo.
Guénon ci svela: «essenzialmente la lettera S rappresenta la molteplicità e la lettera I l’unità, ed è evidente che la loro corrispondenza rispettiva col serpente e con l’albero assiale concorda perfettamente con questo significato; è completamente esatto che in tutto questo vi è qualcosa che deriva da un esoterismo profondo».
Un punto che permette un accostamento particolarmente significativo tra la tradizione occidentale, rappresentata dal Tempio, e la tradizione cinese, è la palese corrispondenza del monogramma al noto simbolo taoista. Il monogramma ha infatti strettissime attinenze con l’yin e yang, altrettanto complementari ed inseparabili, e corrispondenti rispettivamente alle lettere S e I.
Ma la discussione sulla cifra ci porterebbe lontano. Senza salire tanto in alto, si vorrà in ogni caso scorgere il senso di trascendenza nei bassorilievi del Tempio. Rabelais, anch’egli ovviamente sospettato di eresia, nel Gargantua dice a proposito dei misteri di certe sculture sacre che esse intenderà solo chi comprenda le virtù, il carattere e la natura delle cose raffigurate con esse e vi aleggiano le medesime parole di Valturio.
Le quali, a rimarcare questa ermeneutica della reticenza, sono ancora stupendamente coincidenti con quelle di Geber, il sufi dell’VIII secolo formulante la prima sintesi della dottrina nel suo trattato tradotto in latino nel XIII secolo, Summa perfectionis magisterii in sua natura, in cui dichiara: «Non bisogna esprimere il nostro magistero in termini del tutto oscuri, ma nemmeno con un’evidenza che lo renda comprensibile a tutti. Da parte mia lo insegnerò in modo tale che nulla ne sia nascosto ai saggi, pur senza cessare di essere oscuro agli spiriti mediocri. Quanto agli stupidi e ai folli, non potranno capirci niente».
Pound vide tutto, e non furono fantasie, ma frutto d’esperienza, d’esperienza e poi ancora d’esperienza. Per converso tutto è tacciato dalla stragrande, strapaesana moderna contemporanea critica come spericolate e selvagge fantasie iconografiche. Si intima quindi di arrestarsi alle colonne d’Ercole di una lettura attenta, e però non troppo fantasiosa degli aspetti decorativi del Tempio. In realtà, come s’è, per reiterati cenni, mostrato e la Tradizione insegna, le verità di un cert’ordine, per loro stessa natura, sono comprensibili solo per chi è qualificato per capirle, mentre per gli altri resta impenetrabile l’eterna varietà del molteplice in cui l’essenza si squaderna.
Questa analogia è ulteriormente rafforzata dalla natura stessa dell’esperienza iniziatica. Possiamo anche rifarci alla tradizione orientale in cui essa viene descritta come una visione diretta, che si dilata e sconfina dall’ambito dell’intelletto e che si raggiunge «guardando più che pensando», esplorando all’interno di se stessi mediante la meditazione.
Nell’antica filosofia cinese questo concetto di osservazione è sorprendentemente racchiuso nel nome stesso con cui si indica il tempio, kuan, ventesimo esagramma dell’I Ching, il cui significato originario è quello di osservare.
Anche il taoismo considera il tempio come un luogo di osservazione e di contemplazione, così come avviene nella nostra lingua, in cui tempio e contemplazione derivano dalla radice temn, nel doppio significato di «osservare» e di «discernere», che esprime il concetto di separazione rispetto al profano, espresso anche nel cinese kuan, che significa anche «torre» e «spazio sacro», ciò che sta in alto ed è separato.
Non diversamente dall’opera di Sigismondo ci fa sembrare assolutamente desiderabile esser separati dai profani, da coloro che non superano la soglia del Tempio, ed essere invece fratelli in Platone: e cioè che tutta la vita si trasformi in una specie di rituale continuo, che ogni oggetto del mondo intorno debba essere considerato un simbolo del cosmo, che ogni azione debba essere compiuta con un senso di sacralità.
HUDOR ET PAX
Gemisto trae tutto da Nettuno
onde i bassorilievi a Rimini.
A Nettuno è attribuito il dono che riempie la nostra vita ed è verosimile che Ezra Pound, in un suo soggiorno parigino, abbia potuto leggere il Traité des Lois. Libro, oggi pressoché introvabile, in cui Charles Alexandre pietosamente ripreservò, in lingua francese, i frammenti delle Leggi di Pletone, i pochi scampati dal rogo distruttore della furia teologica della «nuova religione», di segno opposto alla lucida tolleranza della prisca.
Nella ieromenia di Pletone l’allocuzione a Nettuno è questa: Tuo padre (Giove) ti ha affidato l’autorità su tutte le creature, a te che sei essenzialmente la forma, il finito e il bello, a te dal quale tutti gli esseri ricevono la forma e il finito con la parte di bellezza che loro conviene.
«Beauty is difficult»: al pari dell’ingresso nel Tempio, ci immergeremo nell’oscurità complessa dei Cantos. Ci sarà di lanterna su entrambe le vie, la massima iniziatica che Pound riprende e a cui ci invita: «Lege, lege, relege». Resteremo seducentemente catturati ad lucem per lucem. Nostri pericoli non saranno la diffamazione, l’esilio, la prigionia, le torture e i roghi. Al sentimentalismo tanto ipocrita d’una mutata società “politicamente corretta”, sarà altrettanto meno penoso restar fedeli al motto di Ezra: Se un uomo non è disposto ad affrontare qualche rischio per le sue opinioni, o le sue opinioni non valgono niente, o non vale niente lui. Nomi sicuri che accordarono questa massima alla loro vita sono: Pitagora, Platone, Giuliano Imperatore, Pletone, Sigismondo. Vi si modellarono Bruno, Mazzini. Altri nomi e genti indica Pound come fili che tessono la trama segreta della storia visibile. Aggiungeremo alla schiera (dilavati da ogni pregiudizio, passione e paura) Pound, l’opera e i giorni del sacrificio (sacrum facere), i Cantos ed il silenzio (tempus loquendi, tempus tacendi).
Nella calma panica di un meriggio solatio del solstizio d’estate, come avrebbe detto Adrian Stokes, a Montefiore Conca si confabula. Appunto, cum fabula. «Quod omnia philosophorum dogmata sub fabulis contineantur», scriveva Natale Conti un secolo dopo l’inaugurazione del Tempio in un prezioso manuale stampato dalle presse di Aldo Manunzio, che il fedele Dazzi studierà nell’ultimo scorcio della sua vita terrena.
Di nuovo templum aedificavit. Palingenesi, o Rinascimento che ne è la precisa traduzione, ancora imperitura, praeclaro lapicidae ac sculptoris artificio sed etiam cognitione formarum. In catena d’amore si spargono semi nella mente. Quando si scrive e si parla ci s’intende inter nos, si parla a chi già possiede la nostra idea o ne ha una prossima. Ma accanto alle nostre parole ordinate con pazienza, rapinosamente, come fiori, sbocceranno ancora i simboli dell’arte. E ci augureremo il ritorno di un tempo dell’Arte in cui tutti i simboli siano razionali e tutte le ragioni siano simboliche.
Si confabula, dunque, un po’ come Platina e Sigismondo:
Dei tempi antichi e nostri; libri, armi,
E uomini di raro ingegno,
Dei tempi antichi e nostri, insomma
Di quel che si parla fra uomini sensati.
E Pletone avrebbe aggiunto:
restiamo legati alla dottrina che sappiamo la migliore … professata anche da Pitagora e Platone: essa prevale su ogni altra per esattezza. Dunque ad essa soltanto chiediamo la più pura felicità cui ci sia lecito aspirare. Quanto alle altre dottrine, più si allontanano dalla nostra, più quelli che vi si aggrappano distano dalla felicità, e si avvicinano alla sventura; e coloro che professano opinioni ancor più diverse dalla nostra sono quelli che piombano all’ultimo gradino dell’infelicità, poiché sono immersi in spaventose tenebre dall’ignoranza dei princìpi più importanti.
E Pound, in questo ideale colloquio, avrebbe concluso:
Costruire il Cosmo -
Compiere il possibile
… un po’ di luce nel buio pesto
… Puoi tu penetrare nella ghianda di luce?
… Un po’ di luce come un barlume
ci riconduca allo splendore.
Le immagini che qui aggiungo, rispetto all'articolo originale, sono tre: un ritratto di Platina, una foto di Pound e la formella dei cosiddetti Influssi della luna, nella Cappella dei Pianeti del Tempio Malatestiano di Rimini.
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