Ho finito, più o meno, di repertoriare le mie attività del biennio 2001-2002. Aggiungo il testo di una mia allocuzione, tenuta a Belmonte Calabro nel tardo pomeriggio del 19 maggio 2001, in occasione della Gran Loggia del Rito Simbolico Italiano e già da tempo on line su una pagina, di non facile reperibilità, del sito del Rito Simbolico Italiano. L'allocuzione fu letta in pubblico, ossia alla presenza di profani e membri di altri Riti o di nessun Rito.
TAVOLA
DEL M.·. A.·. MORENO NERI
Presidente del Collegio "Bononia"
alla Serenissima G.·. L.·. 2001
DEL M.·. A.·. MORENO NERI
Presidente del Collegio "Bononia"
alla Serenissima G.·. L.·. 2001
del Rito Simbolico Italiano
Belmonte Calabro, Villaggio Albergo Belmonte (VAB), 19 maggio 2001
Belmonte Calabro, Villaggio Albergo Belmonte (VAB), 19 maggio 2001
CUSTODI
DEL RITMO PITAGORICO
Gentili Signore, Venerabilissimo Gran Maestro,
Eminenti rappresentanti del Grande Oriente e degli altri Riti o di nessun rito,
carissimi Fratelli Maestri Architetti,
il nostro Rito oggi si presenta con un
corpo vigoroso, eppure snello. E ciò è proprio per quella ricercata e accurata
selezione dei Maestri che intendono entrarne a far parte, un vaglio che è
determinato da quel senso della misura che ci è proprio e da quella massima
tradizionale che afferma che “molti sono i portatori di ferule pochi i
Bacchi”.
Ho fatto in questo istante
un riferimento alla geometria e agli antichi misteri. Non vi sarà ignoto, del
resto, l’asserto che il R∴ S∴ I∴ “si
riallaccia alle più antiche tradizioni iniziatiche italiche ed in particolare alla Scuola di Crotone, fondata da
Pitagora”. Si manifesterà – certo ad
un orecchio profano – attestazione spericolata e peregrina. Meno rara e
tutt’altro che singolare è tale affermazione per chi è aduso alle “catene
d’amore e d’unione”, per chi, come
noi, ne ha saputo meditare ed introiettare i significati simbolici. Non a caso
insistiamo sulla “consapevolezza che la L∴ M∴ costituisce il veicolo mediante il quale viene trasmessa in
Occidente la Tradizione iniziatica” e
sul collegamento del perfezionamento dei membri del S∴ “nella via aperta all’iniziazione massonica al modo come la
Tradizione si è presentata in Italia nell’insegnamento di Pitagora”.
Oggidì quest’idea di
perennità della trasmissione è come offuscata e il nostro appare un ostinato
credere. Ma è la nostra àncora che ci impedisce una smorzata volonta, una
sordida noncuranza. Gli altri, i profani tutti i desideri li indirizzano o
verso la Città Celeste o il Progresso. L’uno e l’altro patria astrale o limite
d’un tempo lineare, che tolgono il dovere individuale della costruzione
terrena. Un Simbolico non può che essere solidale con un circolare od elittico
sogno di durata e d’eterno ritorno, diversamente da chi pone il mito dell’Età
dell’Oro esclusivamente al termine della storia, anziché porla anche al suo inizio. Su questo tempo circolare scivola la
retta della nostra vita.
Neppure
ci persuade il progetto di salvezza della tecnica, né tantomeno che essa abbia
eroso per sempre gli altari del sacro. Anzi nell’albeggiare del sacro e del
mito troveremo le necessarie e sempiterne risposte. In quello, ad esempio, del Protagora di Platone, in cui ci si svela che nella refurtiva
divina di Prometeo, - fuoco e sapienza tecnica, rubate agli dei e donate l’una e l’altro ai mortali- mancava la
sapienza politica. Era oltremodo custodita da Zeus e vigilata da terribili
guardiani.
“E, poiché [con la sapienza tecnica e con il fuoco]
l’uomo divenne partecipe di sorte divina, in primo luogo, in virtù di questo
legame di parentela che venne ad avere col divino, unico fra gli animali credette negli
dèi, e intraprese a costruire altari e statue di dèi. Ma senza l’arte politica gli uomini non potevano
coesistere e non facevano altro che distruggersi a vicenda. “Allora Zeus,
nel timore che la nostra stirpe potesse perire interamente, mandò Ermes a
portare agli uomini la giustizia e il rispetto, perché fossero principi
ordinatori di Città e legami produttori di amicizia.”
Il testo è persuasivo. Lo
sfruttamento del furto prometeico da sempre ha rischiato di annientare l’uomo.
Non è vero come Umberto Galimberti ha cercato invano di convincerci alla G∴ L∴ del G∴ O∴ I∴ che la tecnica disabilita il sacro. Essa è invece dono del primo, ma
gli altri doni portici dalle mani ermetiche furono successivamente giustizia e
rispetto. Pericolosa è l’una senza questi altri: Nihil scientia sine
coscientia.
Compito del filosofo, diceva Pitagora, è
contemplare il cielo. Il tracciato di una notte stellata misurerà dunque le
nostre certezze. Osserveremo il crescere di Orione come fu osservato nel
peregrinare di Odisseo e nel viaggio di Enea. Non vi è differenza tra quelli e
il nostro andare. Ogni esistenza ha le sue partenze, lungo il viaggio
incontreremo sirene e ciclopi, ci si imbatterà in frecce ma sovente il loro
dolore ci trafigge per sanarci. La storia di antiche gesta ed opere non ci sarà
qualcosa d’estraneo. Ci convincono anzi di un mondo decrepito che ha bisogno di
essere ricondotto alla sua giovinezza, di un Occidente che non è più in grado
di intendere il linguaggio del mito, del simbolo, degli Antichi Misteri. Ma
poiché nel mondo delle idee nulla si distrugge, l’originario messaggio è
sopravissuto presso la nostra Istituzione per quanto orbato della sua remota e
primigenia luce.
Secondo
Platone il numero nasce dalla osservazione del cielo e dei cicli planetari,
dando luogo alla “difficile scienza del sorgere e del tramontare degli astri”. Una scienza che poi, per così dire, “atterra”. Simbolo ne fu lo gnomone che altro non fu con stilo
e piano che una squadra confitta nella terra. All’ordine dei cicli celesti, il
perfetto e calcolabile moto del Sole, della Luna, dei pianeti, deve
corrispondere un eguale ordine e similarità degli eventi terrestri, e non solo
di quelli naturali, ma anche di quelli umani. “Ciò che sta in alto è come
ciò che sta in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto, per fare il
miracolo dell'Unità...”. Esso rese
possibile rappresentare la crescita e la diminuzione di grandezze, mantenendone
inalterata la forma. Tramite esso si costruirono i templi: “il prodotto
avanzato di un’arte della misura di origine rituale, che aveva tra i suoi
compiti quello di riprodurre sulla
Terra gli eventi celesti”.
Come
uno gnomone noi siamo, l’antica squadra, lo sguardo alle stelle, ma i piedi
sulla terra. Il Massone che bussa alla porta del XXI secolo è oggi più che mai
un costruttore di templi.
Si
addita dunque un compito esaltante: la gioia del viaggio, della nostra divina
rotta, non sta nella tappa che si raggiunge, ma nel viaggio in se stesso. La
felicità che l’iniziazione procura non sta nelle molteplici scoperte dovute
alla ricerca, ma nella ricerca in quanto tale.
Ed anche nei più duri
momenti, quelli in cui l’astro della L∴ M∴ pareva oscurato, anche nei momenti de ”l’inverno del nostro
scontento”, l’architrave del nostro
Tempio si è sostenuto sulle solide e imperiture colonne dell’arte
architettonica che ci si mostrano, mirabilmente condensate, in queste parole di
Marguerite Yourcenar, tratte dalle Memorie di Adriano,
quell’imperatore che poc’anzi il nostro Gran Maestro ha citato:
“Sopravverranno le catastrofi e le
rovine; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine. La pace
si instaurerà di nuovo tra le guerre; le parole umanità, libertà, giustizia
ritroveranno qua e là il senso che noi abbiamo tentato d’infondervi. Non tutti
i libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante; altre cupole,
altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole; vi saranno
uomini che penseranno, lavoreranno e sentiranno come noi: oso contare su questi
continuatori che seguiranno, ad intervalli regolari, lungo i secoli, su questa
immortalità intermittente.”
Se perciò l’età dell’oro,
quella dell’armonia e dell’ordine è ciclica ed intermittente, ci atterremo alla
norma del distacco. Metteremo da parte l’Io. Davvero ci svestiremo dei metalli.
Bisognerà ripulir la testa, nettare, a colpi di sapone e bastone, i pregiudizi
da difendere, le passioni e i desideri da coltivare, le paure da sedare. Dei
juvantibus, con l’aiuto di quegli dei che presiedono a questo genere di lavori,
s’accenderà, allora, un lume,
affiorerà il dono della chiaroveggenza e quello della libertà. Allo sguardo
dell’uomo i confini appariranno più sterminati di quelli cui è subordinato ed
assuefatto. Non è detto che quel raggio di sole debba restare un lampo. Taluno
coltiverà in permanenza quest’altro e ulteriore modo di sentire il mondo come
un’intima e incombente necessità e considerererà dunque il Grande Architetto
come - affermava il Fratello Proudhon - “un’ipotesi necessaria”.
Lo si ripete, se il nostro
obiettivo è quello della rigenerazione, della pitagorica palingenesi, ci
orienteremo verso il processo e non l’esito. Stiamo navigando su queste rotte
perché vogliamo arrivare in porto, ma il vero motivo del nostro viaggio è che
vogliamo compierlo. E ne abbracciamo la saggezza dell’incertezza.
Saggezza dell’incertezza
significa distaccarsi dal metallo del passato, il passato è la prigione delle
cose note, e ne fuggiremo per entrare in quegli spazi sterminati ed ignoti. Un
neurobiologo vi dirà che l’uomo medio elabora circa 60.000 pensieri al giorno.
Sorprendente! Ma ciò che imbarazza è che il 90% di essi sono quelli di ieri.
L’uomo medio è un fascio di riflessi condizionati, di nervi costantemente
scatenati da persone e circostanze che producono esiti prevedibili.
I versi d’oro pitagorici ci insegnano: “Agisci in
modo che nulla possa danneggiarti e non agire senza riflettere. Fa che i tuoi
occhi non accolgano il dolce sonno prima d’aver ripercorso per tre volte gli
atti della giornata. In che cosa ho mancato? Che cosa ho fatto? Quale dei miei
doveri non ho compiuto?… Ecco ciò in cui dovrai esercitarti, ecco il compito
che richiede tutti i tuoi sforzi, ecco ciò che devi prediligere e che ti
porterà sulle tracce della virtù divina”.
C’insegnano dunque ad usare i ricordi ed il passato,
ma non permettono che i pensieri di ieri ci usino, il che rappresenta la
differenza essenziale tra l’essere una vittima ed un architetto, demiurgo e
creatore.
L’arte reale o arte regia è
l’arte dell’edificazione cui corrisponde l’architettura e la geometria sacra.
Il Tempio ne è l’archetipo. “Nessun ignaro della geometria entri sotto il
mio tetto” raccomandava Platone,
erede di Pitagora. Ma, qui e fin dal principio, è evidente un elemento
allegorico imprescindibile, spesso lo ripeto quando mi si dà l’occasione: il
Tempio non viene costruito per essere terminato, ma è un’opera destinata ad
attraversare i secoli, diretta verso la sua imprecisabile e quindi remota
inaugurazione, in un sentimento d’eternità non formulato, ma plasmato da
inaugurazioni minori (che sono le opere degli uomini, alcune celebri altre
dissimulate, ma non meno importanti), come punti fermi per apprezzare
l’indiscutibile avanzamento della costruzione, ma anche come gradi e stimoli
rivitalizzanti di cui l’Umanità ha bisogno per mantenere in sospeso una così
incommensurabile speranza. Sette scalini saliamo, ma continuiamo a vederne
sempre sette. La scala dei grandi
misteri non ha mai fine, il senso della vita non si esaurisce, né trova una
definizione esaustiva in base alle leggi della logica.
Infatti, ciò che dà un brivido singolare
al sogno incompiuto del Massone, è il sospetto contenuto nella voluta manifestazione
di questa continua costruzione, l’intuizione della vertiginosa proposta che
sorge dall’ininterrotto progetto: lontano come resta da quel che deve essere il
definitivo incontro con la sua forma, eppure abbastanza vicino a questa da
lasciare intravedere la sua smisurata natura.
Come il lavoro del Massone e del suo
Tempio in perenne costruzione, cosi è l’opera dell’Umanità. L’incompiutezza del
progetto, del lavoro architettonico di ognuno di noi e dell’Umana Famiglia, non
solamente deve essere prevista: è presumibile, necessaria, come la stessa
ipotesi del Grande Architetto. Repetita juvant: non c’è il porto, c’è la barca che naviga verso il
porto e non giungiamo a destinazione perché la meta è il cammino.
Nelle caratteristiche dell’operatività del
nostro Rispettabilissimo Rito, assieme al richiamo all’approfondimento
dell’insegnamento pitagorico, si dà rilievo anche alla molteplicità di questi
cammini “che la Conoscenza realizza e della diversità delle forme che
l’Architettura realizza”. Possono dunque
esistere molteplicità d’impostazioni di pensiero. E’ noto e si è più volte
messo in evidenza che la Tradizione Occidentale, così come storicamente si
presenta nella moderna Massoneria, ha una triplice ascendenza: quella
ebraico-allessandrina, la cristiano-cavalleresca e la nostra, quella
ellenico-romana, che tra le sue origini dalla Schola Italica, voluta da
Pitagora e che è stata la pietra di fondamento di tutta la filosofia analogica
occidentale, da Platone ad oggi. Questo assunto per noi Simbolici è una divisa,
e cioè che ogni traguardo verso la Conoscenza richiede all’inizio una scelta
discriminatoria, ma che nel procedere del Cammino la forma architettonica
prescelta conduce, in ogni caso, alla realizzazione del Tempio. Geometricamente
paragoneremo questi cammini ai raggi che partiti da un punto qualsiasi della
circonferenza si ricongiungono al centro. In proposito i Fratelli degli altri
Riti scopriranno l’esistenza di analogie con la nostra Tetraktys, il cui
simbolo viene praticato nelle nostre Logge e Collegi. Rinverranno una piramide
nel nostro Quadro di Loggia, o rimanendo nella simbologia del cerchio centrato
del grado di Maestro della tradizione anglosassone, il cui valore numerico è 9,
la circonferenza, ed 1, il centro, pari a 10 come la Tetraktys, noteranno in
questi simboli geometrici, apparentemente diversi – appunto per
quell’immutabilità nella varianza -, l’ascesa dal molteplice all’Uno. E’ questa
necessaria mutabilità di forme che mantiene tra noi quello spirito di
vicendevole rispetto, quella mutua deferenza ed ammirazione, quella concordia
in questo grande Ordine e che, pur lasciando ai diversi Maestri che lo
compongono la facoltà di scelta del Rito che gli è più congeniale, come in
tutte le grandi opere della natura, sa conciliare la molteplicità con l'armonia
in una medesima, unica, indissolubile Famiglia. En to pan…
Dunque
fin dall’antichità più remota l’obiettivo dell’iniziatica Famiglia fu
d’adeguare la natura all’ordine cosmico e di far emergere l’ordine dal caos. Al
ciclico ritorno dell’Età dell’Oro sta uno sforzo di approssimazione che ha alla
sua base i potenti strumenti della muratoria, il tentativo di ri-creare,
mattone dopo mattone, il Tempio più umano e quindi più divino.
Vi sarà dunque un modo! Tradizionalmente
si chiama in causa l’uguaglianza geometrica, appunto proporzionale. La sacra
tetraktys rappresenta per noi il modo più fecondo della realizzazione
dell’ordine nel disordine e quindi dell’unità nella molteplicità, la
connessione a quella misura suprema che è appunto l’Uno, il Sommo Bene, il
Bello, il Giusto. Quell’Uno che lega la molteplicità ed esplicandosi in essa
fonda la simmetria cosmica. Guai a chi persegue l’eccesso e trascura la
geometria, perchè cielo e terra e dei e uomini sono tenuti insieme dalla
comunanza, dall’amicizia, dall’ordine, dalla temperanza e dalla rettitudine. La
eco dell’En to Pan , uno di quei pochi e saldi principi della Filosofia Perenne
o Tradizione, ascoltiamo oggi nelle parole dei modelli sistemici di quanti –
fisici, biologi, neurofisiologi, ecc. - si richiamano ad un approccio olistico
e che sono sintetizzate nell’esergo de La rete della vita di Fritjof Capra:
“Questo sappiamo.
Che tutte le cose sono legate come il sangue che unisce una famiglia. Tutto ciò
che accade alla terra accade ai figli e alle figlie della Terra. L’uomo non
tesse la trama della vita; in essa egli è soltanto un filo: Qualsiasi cosa fa
alla trama l’uomo lo fa a se stesso”.
Abbiamo parlato della squadra, diremo del
compasso. Quando usiamo la locuzione “rimettere in sesto” o il verbo
“assestare” abbiamo forse scordato che, etimologicamente, hanno strettissime
attinenze col compasso, la cui apertura corrisponde ad un sesto della
circonferenza descritta e perciò l’arco a tutto sesto, per i muratori operativi
fu dunque il simbolo della precisione esecutiva, dell'ordine e dell'armonia?
Platone ci invita per quanto ci è
possibile a farci simile a Dio e la giusta misura né è la condizione
imprescindibile. Si narra che un giorno gli chiesero “che cosa fa Dio?”.”Geometrizza
senza interruzione” rispose. E nel Timeo pitagorico ci indica come modello Colui che possiede
in misura adeguata la scienza e ad un tempo la potenza per coagulare molte cose
in unità e per scioglierle dall’unità in molte. Cercheremo dunque la giusta
misura. Opereremo come Colui che perfettamente attua la misura di tutte le
cose, il Grande Architetto dell’Universo. Per quel nesso metafisico ci
sforzeremo noi, più piccoli ma analoghi maestri architetti di fare ordine e
produrre armonia in tutte le cose che da noi dipendono, ossia nell’etica, nella
politica, nelle opere tecniche ed artistiche.
A noi sono concesse le chiavi
dell’ermeneutica della storia. Ne rinverremo la matrice nella lucida tolleranza
di Roma, i loro stampi in epoche le cui denominazioni suonano famigliari agli
Iniziati, il Rinascimento…l’Età dei Lumi…il Risorgimento…laddove il tentativo
di restaurazione del legame con le strutture esoteriche del cosmo guidò la
trasmutazione del mondo in campo politico e sociale.
“Felice è la città dove i filosofi sono
re e i re sono filosofi!” diceva
sempre Platone. “Gli esoterismi, con il loro potere di agire sui piani
ideologici, guidano il mondo” afferma
Jean Marques-Rivière. Sui manifesti del nostro Ordine sta scritto “la
Massoneria cambia le idee del mondo”. Il nostro Ordine auspica un nuovo umanesimo.
Cederemo alla tentazione, mirando ai sette scalini che sempre ci stanno di
fronte, di intravvedere e trepidare poi per un nuovo rinascimento, dove la
forza, come le nostre tre luci, sia sempre congiunta alla sapienza e alla
bellezza? Sette scalini saliamo, ma continuiamo a vederne sempre sette. Giacché ogni conquista è pietra di fondamento della
successiva, e non vi è un termine alla nostra architettonica fatica. Non v’è
limite alla conquista perché non v’è limite al sogno.
Sentiamo ogni tanto serpeggiare la critica
ad un Rito, il nostro, poco esoterico e piuttosto politico
Sarà noto che pur essendoci
interdetta ogni politica d’azione esterna come Corpo Rituale, lasciando ai suoi
Adepti ampia libertà d’azione nel mondo profano, secondo la loro coscienza, sul
terreno religioso, filosofico e politico, senza dar loro alcuna parola
d’ordine, il lavoro svolto nei Collegi dei MM∴ AA∴ è tanto iniziatico quanto implicante proiezioni culturali e politiche.
Diamo al termine politico il significato originario di arte di governare gli
uomini al bene ed all’equilibrio interiore, origine della felicità. Dovrebbe
perciò esser chiaro che per il deposito pitagoreo che custodiamo, il nostro
modello riposa sulla scienza delle proporzioni e delle corrispondenze, nella
consapevolezza che l’uomo e la società sono organismi la cui salute e felicità
dipende dalle relazione che unisce le parti con il tutto. Né Pitagora, né
Platone obliarono l’archetipo e il paradigma dell’esoterica scienza analogica,
per cui la Pòlis non essendo che l’uomo stesso sviluppato, deve rappresentare
un immagine dell’uomo, come l’uomo stesso rappresenta un’immagine dell’universo
e l’universo un’immagine del suo Architetto. La nostra è dunque Tradizione in
atto e sua proiezione e orientamento alla storia vivente, illuminata
dall’esoterismo e pertinente al mito e all’esatta, matematica, misura dei
rituali praticati.
A
quanti per vocazione, pur guarnendo le colonne dei nostri Templi, preferiscono
forme estremamente individualistiche dell’esoterismo o per disincanto
considerano vana ogni azione nell’Opera al Nero del Kali-Yuga…ad essi un
momento di riflessione sul simbolo che non può che essere che quello della
conversione dello sguardo su sé e sul mondo. Tornino i tempi della
riconciliazione con Sé, cioè con gli altri e con l’Universo, derivata da un
Cosmo solidale, rigenerato dal simbolo, solo mediante esso la teofania continua
e sacralizza il mondo nella nostra coscienza. Questo tempo unificatore non ha
mai disertato la temporalità dell’esperienza umana.
Potremmo infatti assimilare l’Uno alla Tradizione e le
successive generazioni numeriche alla trasmissione e dedurne che non c’è
tradizione senza trasmissione, non c’è origine senza una direzione nello spazio
e nel tempo. Ciò che si tramanda non è dato perché permanga, non è un’inerzia,
una riproduzione dell’identico, ma perché esso dia nuovamente i suoi frutti.
Lavorando questa materia prima, l’erede, “lavora se stesso” e arricchisce il
suo legato. La tradizione non è dunque solo ritorno al passato o aristocratico
isolamento, chi la riceve non è solo il geloso depositario di una fiamma sacra
ma è anche il custode che la ravviva e la corrobora, l’azione dell’esoterismo
non è separazione, è soprattutto ri-creazione. Guai alla fiaccola posta sotto
il moggio che non illumina come dovrebbe. La tradizione come insegna l’alchimia
è la materia prima da rielaborare, per la muratoria la pietra da squadrare.
Scriveva Pound nei Cantos: “Costruire il Cosmo -/ Compiere il possibile /…un
po’ di luce nel buio pesto /…Puoi tu penetrare nella ghianda di luce?…Un po’ di
luce come un barlume / ci riconduca allo splendore”. Il tempio offre un ambiente insostibuile per far
maturare sotto la sua volta stellata alcune idee e distillarle poi nel tessuto
sociale. E’ anche per quanto riguarda il nostro Tempio interiore vivente
dovremo sempre più affondare nelle profondità del nostro essere, all’origine e
non lasciare la presa fino a che non si sia estratto il suo Uno, la sua radice vivente e vivificante. VITRIOL. Solo
allora tutti i frutti che dobbiamo portare, secondo la nostra natura ed il
nostro talento, si produrranno naturalmente in noi e fuori di noi, nella
società e nel mondo, come avviene ai nostri alberi terrestri, come avviene
nella TETRAKTYS rovesciata, poiché aderiscono alla loro radice e ne estraggono
il succo. Niente la natura ama tanto come mutare le cose – ci descive il
pitagorico Ovidio nelle Metamorfosi-
condurne alla ribalta sempre di nuove, perciò la nostra azione è seme di
un’altra e frutto della precedente. Un’espressione del Vedanta dice: “puoi contare il numero di semi in una mela,
ma non puoi contare il numero di mele in un seme, perché in ogni seme esiste la
promessa di migliaia di manifestazioni”.
Dall’uno al quattro – è lo spostamento dal non manifesto al manifesto – la
meccanica della creazione …E’ qui quel lavoro iniziatico, esoterico e
“politico”... E’, per dirlo con una formula, situarsi all’origine delle proprie
virtualità e potenzialità interiori, abitare l’invisibile e radicarsi nel
mondo. “essere -come dice la
letteratura cristiana- non di questo mondo, ma nel mondo”.
Ci è di consolazione che il nuovo paradigma della fisica è quello della
Tradizione. Esso reclama a tutti, anche ai profani di cambiare la visione del
mondo, di non vedere più le cose come separate, ma di vedere l’universo come un
campo d’intelligenza dinamico e indivisibile, in cui ogni cosa e collegata con
ogni altra. Dono divino- si diceva- fu il rispetto – rispetto deriva da respicio. Nell’altro da me appunto mi rispecchio. Chi infatti,
socraticamente, è riuscito a conoscersi impara per ciò stesso a relazionarsi
con ciò che, erroneamente, è creduto l'altro da sé, a discernere l'Unità
fondamentale nell'identità del tutto. Con questo lavoro di profondità ed
equilibrio, il pensiero, attraverso la meditazione, giunge a conoscere
mentalmente ogni cosa, ad appropriarsene per amarla.
Se questa è la conoscenza che ci è concessa
bisognerà pur riconoscere che l’amore, il fraterno legame con tutto è la cosa
più importante, l’energia, la forza motrice, il prana, l’ultima ed autentica
esperienza. Occorrerà poi smettere di chiederci sempre “che ci guadagno?” e
modificare il dialogo interiore, tramutando il metallo, in “cosa posso fare per
l’altro?”, spostandoci dall’io al Sé, alla coscienza universale. Di cosa
abbiamo bisogno? si chiede la sentinella vigile e intransigente dell’Ordine. La
risposta scoveremo nelle parole, del XIII secolo,del Maestro Sufi Rumi: “ Perché
non vuoi che la parte si ricongiunga al tutto, il raggio alla luce? Nel mio
cuore contengo l’universo, attorno a me, il mondo mi contiene….La cosa più
importante che puoi fare nella vita è diventare un amante appassionato, e se
sei un amante appassionato nella vita, allora sarai un amante nella morte,
sarai un amante nella tomba, sarai un amante nel giorno della rinascita, sarai
un amante in paradiso e sarai un amante per sempre. Ma se non hai imparato come
amare, allora non considerare la tua vita come una vita vissuta. Nel giorno
della resa dei conti, la tua vita non conterà”.
E
mi sembra conveniente concludere, un ultima volta, ancora con i versi del poeta
Rubén Darìo, un poeta e diplomatico nicaraguense dell’Ottocento, un simbolista
e…- poteva essere diversamente? - un Fratello Libero Muratore, trovati per
coincidenza e che mi paiono appunto, al tempo stesso una chiave ed un compendio
di quell’analogia, che come affermavano Platone e Plotino, “regge tutto”, di
quella divina proporzione che tutto lega, di quella giusta armonia che tutto
dovrebbe pervadere:
AMA IL TUO RITMO
Ama il tuo ritmo e ritma le tue azioni
secondo la sua legge, e
insieme i versi;
tu sei un universo di
universi
e, nell’anima, fonte di
canzoni.
La celeste unità che
presupponi
farà nascere in te mondi
diversi,
e risonando i tuoi numeri
spersi
pitagorizza in tue
costellazioni.
Ascolta la rettorica divina
dell’uccello dell’aria, e
la notturna
raggera geometrica
indovina;
scaccia l’indifferenza
taciturna,
perla con perla infila
cristallina
dove di verità si versa
l’urna.
Moreno Neri
Presidente dei Maestri
Architetti
del Collegio “Bononia”
del Rito Simbolico Italiano
Belmonte Calabro, 19 maggio 2001 E∴ V∴
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