Da LA RIVISTA DEI DIOSCURI. TRIMESTRALE POLICULTURALE E POLITEISTA, n° 2 aprile-giugno 2011, pp. 109-110.
Giorgio Gemisto Pletone
Trattato delle virtù BOMPIANI, 2010, PAGG. 738, €18,00
MORENO
NERI (A CURA DI)
“... Certo è che Gemisto fu de’
maggiori ingegni e de’ più pellegrini del tempo suo, che fu decimoquinto
secolo...”. Così scriveva nel 1827 Giacomo Leopardi, nel constatare
come al suo presente tacesse la fama di colui che fu definito “I’ultimo degli
elleni”.
Oblio tanto più singolare se, a dar credito al poeta di
Recanati, in Giorgio Gemisto Pletone sia ravvisabile uno dei maggiori ingegni
di un secolo, il Quattrocento, che di individualità eccezionali fu ricchissimo.
Eppure ancora oggi, quantomeno in Italia, il nome di Pletone non è ancora
uscito dalla considerazione delle ristrette cerchie erudite e specialistiche. A
questa mancanza da un numero considerevole di anni cerchia di ovviare con
diuturna fatica Moreno Neri, che ha pubblicato una considerevole quantità di
traduzioni di orazioni, discorsi e testi di e sull’Autore, e che adesso, con
questo Trattato delle virtù, uscito nella prestigiosa collana Testi
a fronte dell’editore Bompiani, curata da Giovanni Reale, ci offre non solo e non
tanto la traduzione di un testo di Pletone, che forse dopotutto non pertiene al
vero e proprio hardcore del pensiero del saggio di Mistrà, ma uno
splendido ipertesto.
Lo chiamiamo così
perché, delle 740 pagine di cui si compone il
volume, il vero e proprio trattato pletoniano occupa solo 34 pagine, in
originale ed in traduzione...
Attorno a questo piccolo nocciolo si sviluppano, a cerchi
concentrici, i frutti del lunghissimo ed amoroso lavoro profuso dal Neri sopra
il suo filosofo, che da soli possono fare la felicità dello studioso, del
curioso, del dilettante, che si affacci per la prima o per l’ennesima volta
sulla vita, sull’opera, sul contesto, del “redivivo Platone”, ovvero sulla Translatio Studiorum dalla Grecia all’Italia, ovvero su quelle
che potremmo definire certe linee carsiche della storia del pensiero e della
Storia tout court.
Moreno Neri ci offre, a partire dal testo di Pletone,
verso l’“esterno”: 1) un apparato esplicativo di note al testo che affrontano
ogni minima questione, dall’ambito lessicale a quello esegetico a quello
contestuale; 2) un’introduzione al testo che lo relaziona con le restanti parti
dell’opera di Pletone, così come con Platone e la tradizione platonica; 3)
Un’introduzione all’autore della dimensione di ben 288 pagine che, a parere di
chi scrive, è la parte più rilevante del volume, e che potrebbe benissimo avere
dignità di testo autonomo.
Qui Neri traccia un affresco dettagliato di chi sia stato
Pletone, cosa abbia detto o fatto, quale vita abbia condotto nel contesto
dell’“Estate di San Martino” dell’Ellenismo bizantino, tra XIV e XV secolo;
cerca di chiarificare quale formazione abbia ricevuto; si spinge fino alla zona
d’ombra dei contatti avuti nell’ambiente dell’Anatolia Selgiuchide e proto-Ottomana
(il misterioso ebreo Eliseo...); fa balenare un’“Aurea Catena” che conduce agli
Ishraqiyyun, o “Platonici di Persia” (e magari, viene da aggiungere, a
quei misteriosi Sabei di Harran che ricondurrebbero all’Accademia Platonica,
chiudendo il cerchio... Ci permetteremmo di suggerire a Neri di sollecitare
ulteriormente questa direzione di ricerca, perché è da lì, a nostro opinabile
giudizio, che potrebbero scaturire le cose più interessanti). E poi ci conduce
all’altro capo della catena, a circostanze ormai notissime, ma che possono
ancora essere viste secondo altre prospettive, i Concili di Unione di Ferrara-Firenze,
le diverse posizioni dei dotti d’Oriente e d’Occidente, i contesti politico-religiosi
e culturali. Neri, partendo sempre dall’operato e dal pensiero di Pletone, ci
presenta molte cose sotto altra luce. Per concludere con quell’epigonale
reviviscenza di platonismo politico che fu il Despotato di Mistrà, sul piano
pratico e molto più nella sua immagine ideale, in cui tanta parte ebbe Gemisto.
Nel cerchio più esterno vi è 4) una ricchissima
bibliografia che, come tutti gli scritti di Neri, è fertile di spunti,
suggestioni, indicazioni verso altre possibili ricerche ed approfondimenti.
Concludiamo questa necessariamente superficiale
recensione, data la ristrettezza dello spazio a disposizione, osservando come
il lavoro del Neri potrebbe costituire la seconda parte di un dittico, il cui
perno è Mistrà, e la cui prima parte è costituita dall’altro grande e
suggestivo lavoro di Silvia Ronchey, L’enigma
di Piero. Neri ha dato un altro magistrale contributo alla comprensione di
quello snodo costituito dalla Bisanzio morente come radice di una certa modernità
ancora oggi presente tra noi.
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