Il ritorno ottocentesco
delle rocche
malatestiane lungo i sentieri del Grand Tour
… di tutto questo viaggio nel quale ho
soggiornato in più di venti città, la graziosa città di Rimini mi ha sedotto
più di tutte le altre.[i]
Così
puntualizzava Charles Yriarte nel suo Les
Bords de l’Adriatique nel 1878, un libro di viaggio di lusso, abbellito da
257 incisioni su legno. Yriarte proseguiva nella sua descrizione di viaggio,
dalla Dalmazia a Otranto, lungo la strada ferrata parlando di paesi grandi come
la mano, delle miniature di messale italiano, chiuse nelle loro fortificazioni
ben conservate, talora imponenti, su colline ben difese. Dopo Ravenna, si
limitava a vederle di lontano, sullo sferragliante e sbuffante treno, mentre
dall’altro finestrino vedeva finalmente la linea blu del mare che chiudeva
l’orizzonte e perfezionava l’insieme del paesaggio, dove al largo si
stagliavano le vele color ruggine di trabaccoli e pescherecci.
Doveva subito confessare che lungo questo
tratto adriatico tutto era da vedere, dappertutto c’era storia, ad ogni passo
monumenti, e ogni città, ogni paese sarebbe valso un volume; e concludeva
sconsolato:
Ho
dovuto fare una scelta, perché qui sono alle prese con necessità pratiche; ma
che dispiaceri lungo la mia strada!
Veduta della città di Pesaro
al tempo dei Malatesta
(illustrazione
tratta da Rimini: Un Condottiere au XVe
siècle …,
Fig. 26 p. 43)
Quanto alla cittadina di Pesaro, che si
raggiungeva lungo una strada graziosissima le cui rotaie costeggiavano
continuamente la riva obbligando a seguire con gli occhi le vele gialle, orlate
di greche o seminate di stelle, che solcavano le onde blu, era allora nota per
il Cigno di Pesaro: Gioacchino
Rossini, quel vecchio dal bel sorriso che fino a dieci anni prima Yriarte aveva
veduto passeggiare sul boulevard des Italiens nella sua Parigi. Urbino era
assolutamente hors de main (fuori di mano è la formula con cui
Yriarte dà la traduzione in italiano): da Pesaro occorrevano cinque ore di
diligenza per recarvisi. Uscendo da Pesaro, tra il mare e la strada aveva
ancora avuto modo di osservare un certo numero di paesi e castelli storici,
tutti provvisti delle loro torri di difesa o d’osservazione, che offrivano al paesaggio una silhouette pittoresque et imposante.
Anche Urbino era «una città pochissimo nota agli stranieri, pochissimo visitata
e tuttavia merita d’esserlo».
Urbino: il Palazzo dei Duchi
(illustrazione
tratta da Les Bords de l’Adriatique …, p. 545)
La città di Rimini, dove aveva soggiornato per
diversi giorni, era invece molto più lungamente nota per la sua tragica eroina:
Francesca.
Yriarte
avrebbe mantenuto, qualche anno dopo, la promessa e l’auspicio di poter
dedicare all’episodio dei due sfortunati cognati un vero e proprio saggio, «stabilendo i fatti storici a fronte di quelli
leggendari, e fornendo tutti i documenti a sostegno»[ii].
Anche in quest’occasione con quella mistura alchemica di romanticismo e
positivismo che caratterizza un po’ tutte le sue opere, dove il soggetto è
romantico, ma nondimeno indagato con i nuovi criteri del positivismo in campo
scientifico e del naturalismo e realismo in ambito letterario.
Questa
apparente eclettica oscillazione, in realtà un equilibrato amalgama, in cui
l’eroe romantico, o l’eroina, assumeva una sua razionalità scientifica di individuo
reale grazie a paradigmi certi e concreti, ossia i documenti d’archivio e i
monumenti che divenivano i criteri e i modelli di un concreto sapere
scientifico, aveva già avuto in Italia il suo manifesto nel saggio del 1866 La filosofia positiva e il metodo storico di Pasquale Villari (1826-1917), che in fondo non era altro che l'applicazione e lo sviluppo rigoroso del metodo di Francesco De Sanctis (1817-1883). Ma in quest’opera di diffusione culturale Yriarte, — che
sostanzialmente nasceva come giornalista, autore e creatore di quelle riviste
con cui l’Europa ottocentesca rese più vicini paesi e culture distanti
contribuendo alla loro conoscenza — aveva modelli e predecessori illustri:
Jules Michelet con il suo Histoire de la
France au sezième siècle: Renaissance (Paris, 1857), Georg Voigt con Die
Widerbelebung des klassischen Altertums, oder der erstejahrhundert des
Humanismus (Berlin, 1859), e, soprattutto, Jacob Burckhardt con Die Kultur der Renaissance in Italien (Basel,
1860). Proprio da Burckhardt, il cui
studio domina ancor oggi la nostra immagine del Rinascimento, Yriarte aveva
tratto la lezione che, per un intervento davvero qualificato, era necessario
attingere a fonti originali, a documenti d’archivio e, laddove possibile perché
sopravvissuti, ai monumenti dell’epoca. Ma anche dai suoi carissimi amici, i
celebri fratelli Goncourt, aveva appreso un rigore metodologico. Nelle
prefazioni all’Histoire de la société
française pendant la Révolution e ai
Portrait intimes du XVIIIe siècle (1857-1858) i Goncourt
sostenevano una nouvelle histoire che
prescriveva di cercare le fonti in «un mondo di carta fino ad allora
dimenticato», «nei diari, negli opuscoli, negli autografi, nelle incisioni, nei
disegni, in tutti i monumenti personali» che un’epoca si lascia dietro; solo
così, partendo magari da «un granello di sabbia», si poteva ricostruire un
«microcosmo umano».
Quasi non bastasse il rigoglio che poteva derivare dall'episodio dell'assassinio di Paolo e Francesca, il panorama affascinante intravisto da Yriarte in quella «piccola città di Rimini, sita sulla costa dell'Adriatico, il cui nome non richiama alla memoria dei più che il ricordo della fragilità di una donna, quella del furore di uno sposo e alcuni versi d'un canto immortale»[iii] doveva riservargli un'altra sorpresa. Così la descrive:
Quasi non bastasse il rigoglio che poteva derivare dall'episodio dell'assassinio di Paolo e Francesca, il panorama affascinante intravisto da Yriarte in quella «piccola città di Rimini, sita sulla costa dell'Adriatico, il cui nome non richiama alla memoria dei più che il ricordo della fragilità di una donna, quella del furore di uno sposo e alcuni versi d'un canto immortale»[iii] doveva riservargli un'altra sorpresa. Così la descrive:
Vagando, come ho abitudine di fare,
senza piani preconcetti, limitandomi alla mia sola conoscenza degli stili per
riconoscere i monumenti e le rovine, cado letteralmente immobilizzato,
inchiodato sul posto dall’ammirazione, davanti a un monumento che ritengo uno
dei più belli di tutta Italia. È purtroppo incompiuto; la data è splendida
(1450), e l’iscrizione del frontone ha qualcosa di grandioso: A dio immortale, Sigismondo Pandolfo
Malatesta, figlio di Pandolfo.
È la chiesa di San Francesco, tutto
sommato abbastanza poco conosciuta, riprodotta pochissimo, così poco, che
abbiamo dovuto rinunciare a trovarne fotografie in tutta Italia, e dovuto far
eseguire nella stessa Rimini dieci cliché differenti dal signor Trevisani, per
poter un giorno illustrarla, dopo avere cercato i documenti di archivio. A
questo edificio è stato dato il nome di Tempio
Malatestiano.
Ci si immagini una chiesa del
tredicesimo secolo alla quale un principe potente, ricco, amico delle arti, ha
fatto un viluppo (una camicia, per
farmi meglio comprendere) il cui disegno è di Leon Battista Alberti, di
Firenze. Ne offro la facciata[iv],
ma è incompiuta; è per mezzo delle medaglie del tempo che si comprende ciò che
doveva essere. È lo stile, al tempo stesso classico e pieno di nobile fantasia,
della seconda metà del quindicesimo secolo che Alberti ha adottato. All’esterno
è semplicissima, di una grande unità e di un gusto completamente squisito. Le
modanature, i fregi, i viticci sono di quest’epoca fortunata dove tutto ciò che
usciva delle mani degli artisti raggiungeva una perfezione che non sarà
superata.
Sigismondo, figlio di Pandolfo, ha fatto
di questo tempio l’opera della sua vita. Per abbellirlo ha saccheggiato
Sant’Apollinare in Classe di Ravenna. Ha voluto riunire nelle cappelle
dell’interno i sepolcri della sua famiglia e quello della sua sposa Isotta il
cui monogramma, unito al suo, corre in tutte le fasce delle tre facciate. Con
un pensiero pieno di grandezza, e che farebbe amare questo Malatesta gravato
d’imprecazioni nella storia, ha voluto che sotto ciascuna delle arcate delle
facciate laterali, in un sarcofago nobile e semplice e dalla forma antica,
riposasse uno dei poeti, dei filosofi e dei sapienti che vissero alla sua
corte.
L’interno è pieno di rivelazioni per lo studio delle
arti. I più grandi artisti italiani del quindicesimo secolo hanno concorso a
ornarlo, e, persino dopo le prodigiose tombe dei Frari e di San Giovanni e
Paolo, ci si può stupire della perfezione delle opere scolpite che adornano
ciascuno di questi santuari dell’arte. Singolare apprezzamento si deve portare
su un’opera di questo tempo, in cui l’architettura tornava alle sorgenti
antiche: essa è originale e romantica come un sistema ornamentale nato ieri e
che non può essere improntato ad alcun tempo; vi sono delle audacie di
composizione che colpiranno vivamente coloro che si occupano d’arte. Spero di
avere ritrovato i nomi degli artisti che hanno collaborato a questo prezioso
monumento e di potere provare che non si tratta niente di meno che di Luca
della Robbia, Pisanello, Matteo de’ Pasti, Sperandeo, Simone Donatello, Piero
della Francesca, Lorenzo Ghiberti e Bernardo Ciuffagni.
Molto prima della corte di Ferrara,
prima dell’apogeo del regno degli Urbino, fin dal 1350, questa corte di Rimini
era un centro intellettuale. Sigismondo, figlio di Pandolfo, fece di Rimini una
piccola Atene, e numerosi grandi artisti hanno vissuto alla sua corte e sono
morti al suo servizio. Aveva i suoi scienziati, i suoi filosofi, i suoi pittori,
i suoi incisori di medaglie; era poeta, e si sono conservati i suoi versi alla
bella Isotta, la sua sposa. Aveva anche la specialità della fortificazione, e
gli si deve il disegno di numerose roccaforti delle città circostanti.[v]
Quella
particolare aura di straordinarietà in cui si era imbattuto, facendolo
arrestare come impietrito di fronte a quella chiesa pressoché sconosciuta al
mondo, iniziò il fascino malatestiano in tutta l’Europa, e poi nel mondo. Il
Tempio malatestiano non fu più uguale a quello che era stato, dopo il viaggio
di Yriarte. Dopo la morte di Sigismondo era stato un ospite quasi
indesiderabile, tra gli edifici della città. Se Sigismondo e Isotta ebbero un
sogno di eternità, quello di raggiungere la vita eterna continuando a vivere
attraverso il loro Tempio, il loro sogno fu esaudito.
Quanto al
viaggio di Yriarte sarebbe continuato, attraverso i suoi libri dedicati a
Rimini, alla sua storia e alla sua arte, e, ancora ripreso attraverso i
posteri, altri visitatori avrebbero accolto i bassorilievi e le altre opere con
lo stesso animo, e ne avrebbero tratto indizi e visioni[vi].
Yriarte quasi
indovinava che questi futuri maestri si sarebbero confusi tra i turisti,
inosservati e indistinti tra riti più materiali, quelli del denaro, del loisir e della vacanza:
La città è divenuta una stazione
balneare importante, e vi si viene da tutti i punti d’Italia. Una città nuova
si è formata sulla spiaggia, e ricorda molto, fatte le dovute proporzioni,
quelle moderne città di Deauville o di Villers, dove i parigini affluiscono
durante l’estate. Le famiglie ricche vi possiedono dei padiglioni che vengono
ad abitare durante la stagione dei bagni e alcuni abitanti di Rimini, più
avventurosi degli altri, hanno speculato sui terreni e costruito delle case in locazione.
La spiaggia è bellissima, ma scopertissima e sabbiosa.[vii]
Ma chi era
Yriarte? Chi era questo viaggiatore e scrittore, questo giornalista e
illustratore? E come e perché, a seguito dei lussuosi volume di Yriarte, a
cascata seguiranno enciclopedie, guide turistiche per viaggiatori, novelle,
drammi, poesie e studi eruditi, in cui Rimini e il suo entroterra, «le Terre
Malatestiane e del Montefeltro», «con le loro numerose roccaforti circostanti»,
saranno protagoniste?
Si può tentare
di dare risposta a queste domande[viii].
E, alla luce di quanto vedremo, anche se gli eventi non si ripresentano in modo
identico, ciò non impedirà che le esperienze di quel tempo lontano si prestino
ancor oggi a riflettere sul presente, e forse anche a cercare di immaginare il
futuro della nostra terra e la grazia di un possibile cambiamento, o meglio una
magica trasmutazione, per il salto qualitativo dovuto al lavoro di un semplice
araldo che ne ritrova e mostra il vero essere.
Charles Yriarte (1832-98).
(ritratto della Gazette des Beaux-Arts, ser. 3, vol. 19,
1898, p. 431)
«Yriarte è pieno di anedotti», annotava
Edmond de Goncourt nel suo diario[ix].
Lo incontrava spesso, negli anni tra il 1892 e il 1895, nel salotto della
principessa Mathilde Bonaparte, dove Yriarte, che sembrava avere visto e
conosciuto tutto e tutti, era capace di fare i racconti più interessanti.
Nell’angolo del salone raccontava degli infruttuosi tentativi di Lord Hertford
di conoscere Balzac, del coraggioso disprezzo per la morte di Claudius Popelin
in fin di vita, della pazzia e dei deliri del sifilitico Maupassant, internato
nella casa di salute del suo amico dottor Blanche a Passy. Bisognava infrangere
la sua discrezione per scoprire che la sua descrizione di un’enorme grotta
nell’Istria — che aveva visitato nel suo lungo viaggio la cui tappa più
importante era stata Rimini — aveva fornito a Jules Verne lo scenario perfetto
per l’evasione del suo Mathias Sandorf.
Verne non aveva mai visitato l’Istria: aveva soltanto fatto il giro della costa
croata con il suo yacht. Ma Yriarte gli aveva descritto l’enorme apertura della
grotta su cui nel X secolo fu fondata la città di Pisino (Pazin) nel centro
dell’Istria, la foiba, il ruscello che sparisce nell’orrido e l’adiacente
castello cinquecentesco. Verne mise la sua proverbiale immaginazione sulla
carta e avviò la storia del romanzo con una rocambolesca evasione. Ma,
soprattutto, Yriarte affascinava gli ospiti del salotto descrivendo la
spedizione dei Mille. Spiegava i lati meno noti del suo finanziamento da parte
di Dumas che aveva acquistato, con i soldi che gli doveva l’editore Michel
Lévy, 70.000 franchi di pistole e camicie rosse, disseminandole lungo le coste
del Mediterraneo, con una prodigalità degna del Conte di Montecristo. Evocava
l’amante dello scrittore, una ventenne attrice ex pescivendola, che, dopo aver
seguito sulla goletta di Dumas l’impresa in una fantasiosa divisa da capitano
di vascello, era stata costretta a tornare in Francia incinta, accompagnata da
Yriarte, che dovette — ricordava — penar le pene del mondo per farle
abbandonare gli abiti maschili, nonostante il suo stato.[x]
Parlava invece raramente della sua partecipazione al giornale bilingue L'Indipendant/L’Indipendente, il quotidiano
fondato a Napoli da Dumas e aveva un assoluto riserbo sulla sua iniziazione in
massoneria, avvenuta in quel frangente, assieme al prolifico scrittore francese
che aveva allora circa il doppio dei suoi anni, nella loggia «Fede Italica».
Questo
viaggiatore e scrittore, questo giornalista e illustratore era nato a Parigi il
5 dicembre 1832[xi],
da una famiglia d’origine spagnola — o meglio di etnia basca come la ypsilon
del cognome tradisce. L’arte lo aveva ben presto attratto. Compiuti gli studi
all’École des beaux-arts a Parigi, a vent’anni era entrato nello studio dell’architetto
Constant Dufeux (1801-1870), che allora lavorava al Panthéon e al castello di
Vincennes. Quattro anni dopo era stato nominato ispettore degli ospizi di
Vincennes e Vésinet, ma dopo qualche anno l’impiego fu soppresso. Che fare?
Yriarte ha una matita esperta e veloce, disegna xilografie per i giornali e il
suo talento viene subito notato. Nell’ottobre del 1859 la Spagna ha dichiarato
guerra al Marocco. Parte come corrispondente di guerra e disegnatore del Monde illustré, e assiste alla campagna nello stato maggiore di Leopoldo O'Donnel, allora presidente del governo spagnolo e insieme ministro della guerra. L'anno dopo è a Gaeta con il generale piemontese Cialdini. Racconta quello che vede e ci si accorge che scrive bene così come disegna bene (abilità indispensabile per gli «inviati speciali» ai tempi degli albori della fotografia). Ma prima d'essere all'assedio di Gaeta col «duca cacciator d'agguati», come si è detto, aveva seguito l'impresa dei Mille di Garibaldi in Sicilia sullo yacht Emma
di Alexandre Dumas, assieme a un’amante vestita da ammiraglio. Di tanto in
tanto, lui e Dumas, scendendo a terra, inviano corrispondenze sull’evento ai
giornali francesi, trovandosi a condividere con Garibaldi la vittoria di Milazzo, lo sbarco in Calabria, l'impetuosa avanzata delle camicie rosse lungo la penisola, la conquista di Napoli, di cui si attribuiscono una dubbia mediazione con i
liberali napoletani per la resa incruenta della città. Yriarte è il fido
custode dell’ultima arrivata delle amanti di Dumas. Dovrà con lei lasciare
precipitosamente Napoli per Parigi, dove Émilie partorirà il 24 dicembre 1860
una graziosa bambina, Micaëlla-Clélie-Josepha-Élisabeth, una della dozzina di
figli di madri diverse dello scrittore tra i più famosi di Francia e anche tra
i più tumultuosi, ma che avrà come padrino Garibaldi in persona. Aveva
confidato Dumas a Yriarte: «è per umanità che ho così tante amanti, se ne
avessi soltanto una, morirebbe nel giro di otto giorni». Era comunque riuscito
a rientrare in Italia e a fermarsi per un po’ di tempo a Napoli con Alexandre
Dumas al palazzo di Chiatamone, a collaborare al suo gustoso Indipendente, a coadiuvarlo persino nel
suo incarico di Direttore delle Belle Arti, un rodaggio di quella che sarebbe
divenuta una delle sue principali attività. Tornato a Parigi nel 1862, la sua
vivace penna tocca temi diversissimi: arte e critica artistica, vita elegante,
ritratti di contemporanei, storia dei circoli parigini; non teme neppure di
presentarci le celebrità della strada, mantenendo sempre il giusto tocco,
delicatezza, stile e gusto.
Subito dopo
l’infiammato, esaltante clima delle spedizioni marocchina e garibaldina, ci
restituisce l’irripetibile atmosfera di un’epoca che oggi non c’è più —
un’epoca di sentimenti belli e nobili, di cuori puri, di romantiche
improvvisazioni, di amor di patria, ma anche di crudeltà di guerra —, facendo
uscire, nel 1863, il suo primo libro «turistico», Sous la tente (Sotto la tenda),
sui suoi itinerari, la storia del Marocco e la sua recente guerra con la
Spagna. Il libro aprirà una lunga serie di viaggi e di conseguenti libri. Ma il
libro sul Marocco inaugura anche quella che sarà una delle caratteristiche di
eleganza di tutti i libri di Yriarte: la bellezza del corredo iconografico.
Infatti è illustrato da Gustave Doré (siamo solo due anni dopo le sue celebri
illustrazioni dell’Inferno dantesco).
Del resto il gusto per la bellezza della scrittura, per le proporzioni e
l’armonia dell’impaginazione, per l’accuratezza impeccabile delle immagini che
intessono esteticamente la trama tipografica, per tutto ciò insomma che fa la
veste di un oggetto di lettura o, in altri termini, tutto ciò che forma la
predilezione per la bibliofilia — che sia quella del raffinato editore o
dell’appassionato collezionista — in Yriarte si ritrova di continuo. Quanto
all’intelligenza, sensibilità estetica e precisione del gusto, va ricordato ciò
che gli esperti d’arte già sanno. E cioè che Yriarte fu l’autore nel 1867 —
meno di quaranta anni dopo la morte del grande pittore spagnolo — della prima
monografia su Francisco Goya[xii].
Caratteristica
dei libri di Yriarte è dunque quella di essere sempre accompagnati da una ricca
messe di tavole illustrative, spesso della mano dello stesso Yriarte, che
modestamente quasi mai si indica come autore dei disegni e degli schizzi. I
suoi articoli sul Le Figaro, La Vie parisienne, L’Art e poi sul Monde
illustré — che dirigerà per sei anni dal 1864 — e su altri giornali ancora
come Le XIXe Siècle, firmati a suo
nome o con gli pseudonimi di Junior e
di marquis de Villemer, gli procurano
una buona reputazione e gli consentono di raccogliere in volumi i suoi vari
pezzi di costume. Nel frattempo era stato anche nominato Ispettore dei lavori
architettonici del Nouvel-Opéra in costruzione, condotti sotto la direzione
dell’architetto Charles Garnier, dimostrando che non aveva dimenticato
l’eclettismo che aveva imparato presso Dufeux. Risale al 1868 la sua prefazione
ad un opuscolo dedicato ai fregi del Partenone di Fidia.
Nella campagna del 1870-71
servì come aiutante di campo del generale Vinoy, collaborando alla redazione
dei dispacci militari per il Times.
Fu allora che egli pubblicò il libro La
Retraite de Mézières. In quel biennio, la guerra franco-prussiana, lo choc
di Sédan, la caduta del Secondo Impero, le manifestazioni della Bastiglia,
l’instaurazione della Comune di Parigi, sono per il giornalista, lo scrittore e
l’illustratore, ma anche per il partigiano di Louis Adolphe Thiers (1797-1877)
— statista e storico della Rivoluzione Francese, leader delle forze
«repubblicane» conservatrici, tipico rappresentante della Francia moderata e
liberale, ma capace di soffocare in una carneficina i Comunardi —, lo spunto di
nuove opere d’attualità. Questa sua celebrazione di Thiers è quasi
un’anticipazione di quelle figure di prìncipi rinascimentali che celebrerà: una
mistura di liberalità e di cultura, empietà e talento guerresco e sanguinario.
Del 1874 è infatti il primo libro di storia dell’arte e della civiltà
rinascimentale con cui Yriarte si cimenta, quello sulla vita di Marcantonio
Barbaro (1517 o 1518-1596) e sulla storia di Venezia dal 1508 al 1797.
Sul finire del
1871 aveva rinunciato alla direzione del Monde
Illustré, e si mise a viaggiare, continuando la sua collaborazione alla Revue des Deux Mondes, alla Gazette des Beaux-Arts, all’Art. Il desiderio di paesi poco
conosciuti e di viaggi lontani lo aveva ripreso. Questa volta, a tentarlo, è
l’Europa orientale e la costa adriatica italiana che gli forniranno gli spunti
per nuove narrazioni. In tre anni visita l’Istria e la Dalmazia, l’Erzegovina e
la Bosnia, il Montenegro, la Serbia e i Balcani. Quindi tutta la costa
Adriatica da Trieste ad Otranto, con quella basilare tappa a Rimini che
abbiamo, tramite suo, descritto. Si era allontanato da Parigi anche per un
altro motivo. Dopo la battagliera, spumeggiante vivacità dell’esperienza
garibaldina, iniziato alla massoneria in Italia, al ritorno nel suo paese era
diventato un membro del Grande Oriente di Francia. Come tutti i francesi era
stato alle prese con l’impossibile dell’anno
1870. La disfatta del 1870, la caduta dell’impero e l’avvento della Terza
Repubblica, aveva spaccato la libero-muratoria francese. Una parte si era
legata al governo di Thiers: era la cosiddetta massoneria d’ordine. Ma esisteva
anche una massoneria rivoluzionaria che appoggiava i Comunardi. Nell’aprile
1871, scoppia la guerra civile. Numerose delegazioni di massoni, agendo
pubblicamente, tentarono una mediazione con Thiers per evitare gli esiti
sanguinosi delle sue decisioni. Non li ascolterà. Alcune logge, senza l’accordo
dei dignitari, si ritroveranno sulle barricate in compagnia dei Comunardi che
offriranno loro la bandiera rossa della Comune. Il Grande Oriente di Francia
rifiuta questa esibizione, ma molti massoni sfilano pubblicamente con gli
esponenti della Comune. I fratelli uniti ai Comunardi minacciano di sollevarsi
se i soldati di Versailles spareranno sulla folla. Thiers si burla dei massoni,
vuole la fine dell’insurrezione. La massoneria sarà definita socialista e
comunarda: un quarto degli eletti alla Comune è massone, ma la maggioranza
della massoneria è liberale, democratica, anticlericale e cerca inutilmente la
conciliazione fra Parigi e Versailles. Il vittorioso Thiers decide di chiudere
le logge. I massoni compromessi sono fucilati o deportati. Il partigiano di
Thiers non riusciva a capire esattamente quello che era successo. Aveva bisogno
di cambiare aria, di allontanarsi per un po’ da quella bugiarda iscrizione: Liberté, Egalité, Fraternité.
Nel 1874,
l’anno stesso del suo viaggio in Istria e Dalmazia, era dunque apparso La Vie d’un Patricien de Venise au XVIe
siècle, il primo di quei libri che gli avrebbero contemporaneamente valso i
suffragi dei letterati e degli eruditi e che gli avrebbero senza dubbio aperto
le porte dell’Institut de France, se la morte avesse atteso un po’ più di
tempo. Il 1875 è l’anno del viaggio nei Balcani, quando in Erzegovina, Bosnia e
Bulgaria scoppiano insurrezioni contro la dominazione dell’Impero ottomano: ne
pubblicherà dei ricordi.
Tutte le opere
dedicate all’arte, sia quella rinascimentale che quelle consacrate agli artisti
del suo tempo, sono anche caratterizzate dalla cura costante del ricercatore
paziente, da cui dipende il merito fondamentale di questi testi, assieme ad
inattese scoperte che ne aumentano il valore intrinseco. Sono qualità che si
erano già potute apprezzare nel suo libro su Goya. Ma la storia dell’arte,
degli artisti e dei prìncipi-mecenati dell’Italia nel XV e XVI secolo, fu la
sua passione negli ultimi vent’anni della sua vita. Fu, nel tempo libero che
gli lasciava il suo incarico di Ispettore delle Belle Arti al quale l’aveva
chiamato nel 1881 Jules Ferry, ministro dell’istruzione pubblica dal 1879 al
1883 e suo fraterno amico e già suo collega nella Revue des Deux Mondes, la sua grande occupazione e la sua maggior
gioia. Con Ferry, il ministro che fece votare in Francia nel 1882 la legge
sulla gratuità e obbligatorietà della scuola primaria cosi come quella sulla
laicità pubblica e che l’8 luglio 1875 era stato iniziato nella loggia «La Persévérante Amitié» del Grande
Oriente di Francia, Yriarte aveva trovato una sua stabilità. Sindaco di Parigi
durante la Comune, Ferry aveva vissuto la stessa crisi di Yriarte, le stesse
esperienze personali, lo stesso orrore per le convulsioni socio-politiche e per
i tumulti di strada. La Terza Repubblica doveva affiancare alla divisa Liberté, Egalité, Fraternité il
motto positivista Ordre et Progrès.
Solo l’educazione, l’istruzione e la cultura potevano assicurare un’unità
psicologica e sociale. La massoneria stessa, con la sua esistenza, mostrava la
possibilità di una morale sociale e laica, senza necessità di puntelli
teologici, capace insieme di rispettare la fede personale e di combattere il
clericalismo che si fa potere. Ferry e Yriarte avevano capito entrambi perché
tra le colonne del tempio si alzavano in piedi e si mettevano «all’ordine»,
perché lavoravano «per il bene e per il progresso dell’umanità». Affermava
Ferry, e Yriarte assentiva: «se teniamo tanto all’ordine [...] è perché
l’ordine è la condizione primaria, essenziale del progresso. [...] il progresso
non è una serie di sopprassalti né di colpi di mano [...] è uno sviluppo lento;
è un fenomeno di trasformazione che si produce dapprima nei costumi per passare
in seguito nelle leggi», ma per mettere ordine negli spiriti bisogna
fronteggiare «l’internazionale nera» retrograda (clericali, gesuiti) come pure
lo spirito d’utopia dell’«internazionale rossa». La Comune era stata simile al
Terrore del 1793. Bisognava rimpiazzare l’animosità con il reciproco rispetto.
Festa
di beneficenza offerta dalla Loggia massonica La Persévérante Amitié (schizzo
di Charles Yriarte, 1877)
(Collezione
privata di Moreno Neri)
Fu in quel
periodo che Yriarte decise di non nascondere più la sua appartenenza massonica.
La sua loggia «La Persévérante Amitié», loggia sorella di quella di Ferry e del
filosofo Émile Littré, aprì le sua sale per feste di beneficenza e concerti, di
cui si dava notizia nelle cronache mondane del Figaro. In uno schizzo di pugno di Yriarte, pubblicato nel 1877 si
è autoritratto: è il primo a sinistra nella prima fila di dignitari massoni con
il classico collare.
Ma il campo di
Yriarte non era quello politico come per il fratello Ferry. Era quello
dell’arte e della cultura. Nel 1889 diventava membro del consiglio superiore
delle Direzione delle Belle Arti e, ormai da diversi anni, era conservatore
delle collezioni di sir Richard Wallace[xiii].
Con
perseveranza, si attaccava a qualche capolavoro o a qualche personaggio di
quelle epoche feconde che ammirava e sulle quali non era ancora stato detto
tutto o di cui poco si conosceva. Interrogava i documenti d’ogni sorta che
potevano permettergli di saperne di più. Di un’opera riusciva quindi a farci
capire a quale maestro bisognava decisamente attribuirla, chi l’aveva ispirata,
quali erano state le sue successive vicissitudini e fortune. Con la stessa
curiosità studiava certi famosi personaggi, alcuni meravigliosi, altri
mostruosi, altri ancora di entrambe le paste, enigmi che turbavano la ragione
umana, anime sfrenatamente perverse, tuttavia aperte al senso e
all’intelligenza del bello, capaci dei peggiori crimini e nello stesso tempo di
azioni gloriose. Sigismondo Malatesta, Cesare Borgia… gli ricordavano quei
generali che aveva frequentato: O’Donnell, Garibaldi, Cialdini, Thiers…
Dopo Francesca
da Rimini, nell’ultimo tratto della sua vita, una figura gli si era imposta più
di altre: Isabella d’Este, pura, nobile e affascinante, la «divine italienne»,
come la chiamava. Le aveva già dedicato alcune pagine[xiv];
certamente pensava di renderle altri omaggi ancora. Nel 1895 è in missione a
Mantova per ricreare gli interni degli appartamenti privati d’isabella
d’Este Con la stessa serietà, Yriarte
servì lo Stato. La coscienza che metteva nei suoi libri la metteva nel
compimento delle sue funzioni pubbliche. Fermo nelle sue opinioni, non esitava
a esprimerle, ma lo faceva con tanta cortesia e tatto, che si sarebbe avuto
torto ad offendersi dei suoi pareri, anche quando potevano dispiacere. Era la
dirittura e la lealtà in persona. Negli ultimi anni della sua vita lo avevano
lasciato i suoi migliori amici: il pittore Ferdinand Heilbuth, il filosofo
Desormeaux e il collega Armand Baschet. Era ormai divenuto, in ambito
giornalistico, una firma prestigiosa. Oltre a collaborare ai numerosi giornali
e periodici illustrati francesi menzionati, lo ritroviamo, poco prima della sua
morte avvenuta a Parigi il 10 aprile 1898, tra le firme prestigiose di Cosmopolis, una rivista trilingue
(inglese, francese e tedesco) fondata nel 1897, che annoverava tra i suoi
collaboratori i più importanti scrittori di Francia, d’Inghilterra e di
Germania. Così Yriarte era nel novero con Kipling, Conrad, Henry James, Bernard
Shaw, Yeats, Anatole France, Alphonse Daudet, Turgheniev, Theodor Mommsen,
Nietzsche… solo per citarne alcuni[xv].
La morte nel 1898 lasciava incompiuta una sua opera su Andrea Mantegna che sarà
pubblicata nel 1901.
Le numerose
opere che ha lasciato durante la sua feconda vita mostrano una fonte
d’ispirazione multiforme. Tutta la sua vita di ricercatore e di viaggiatore in
Marocco, Spagna, Italia, Balcani, Inghilterra e Portogallo mostra il desiderio
di coltivare il suo «cosmopolitismo» che non si comprende se è nato dalla sua
adesione alla Massoneria o se, viceversa, questo suo orientamento lo portò ad
affiliarsi a questa Istituzione. La sua esperienza della vita militare gli
aveva permesso di scoprire la «grande, sublime poesia della vita nomade, vita
biblica in cui l’uomo cresce al cospetto di Dio, all’aria libera». Si mostra
come uno scrittore-viaggiatore, per il quale l’esperienza diretta è una conditio sine qua non della scrittura, i
cui l’autore non è un semplice cronista, ma un viaggiatore assetato di
conoscenze e di sensazioni i cui obiettivi sono «vedere, apprendere, sentire».
Di qui la sua scrittura estetizzante, pittorica, à la manière de Théophile Gautier, che considerava come uno dei
grandi del suo tempo, di qui il corredo alla sua scrittura di disegni da lui
stesso o da altri realizzati per illustrare le sue opere.
Yriarte diede
alle stampe il suo Rimini: Un condottiere
au XVe siècle dopo un lungo periodo di ricerche in archivi,
biblioteche, musei, collezioni private, e sopralluoghi e visite in Italia e
nelle Romagne in particolare. Sono del 1876 le prime lettere che Giuseppe
Vaccaj (1836-1912), pittore e
sindaco di Pesaro, anche lui massone, riceve dallo storico francese conosciuto
a Roma nel periodo del suo apprendistato artistico e divenuto poi amico di
famiglia. Sono del 1879 tre articoli, pubblicati sulla Gazette des
Beaux-Arts, su Les arts à la cour des Malatesta au XVe siècle,
che possono considerarsi anticipazioni del volume. La corrispondenza con Vaccaj
(notevole paesista cui la città
delle Marche ha dedicato una mostra nel 2000), che sarà prodigo di
consigli, informazioni e disegni per questo libro prezioso e raffinato, durerà
fino al febbraio 1882[xvi].
Nell’apparato iconografico dei volumi dell’Yriarte
sono appunto presenti alcuni croquis,
qui riprodotti, illustranti le rocche
(quella di Rimini innanzitutto, ma anche Montefiore, Gradara, Verucchio).
Alcuni degli schizzi sono dello stesso Yriarte, altri di Silvio Mariani di
Verucchio, altri ancora, appunto, di Vaccaj.
Resti della Rocca di
Montefiore costruita da Malatesta Guastafamiglia nel 1345.
Dallo schizzo del Sig.
Vacaj, Sindaco di Pesaro
(illustrazione
tratta da Rimini: Un Condottiere au XVe
siècle …,
Fig. 25 p. 41)
Rovine del Castello di
Gradara, difeso da Sigismondo contro Sforza nel 1445 – Stato attuale – Schizzo
del Sig. Vacaj, Sindaco di Pesaro
(illustrazione
tratta da Rimini: Un Condottiere au XVe
siècle …,
Fig. 63 p. 124)
Resti del Castello di
Verucchio. – Schizzo di Silvio Mariani di Verucchio
(illustrazione
tratta da Rimini: Un Condottiere au XVe
siècle …,
Fig. 12 p. 24)
Resti della Fortezza di
Verucchio, elevata nel 1448 da Sigismonfo Pandolfo.
Dallo schizzo di Silvio
Mariani di Verucchio
(illustrazione
tratta da Rimini: Un Condottiere au XVe
siècle …,
Fig. 13 p. 25)
Porta della Fortezza di
Verucchio. Stato attuale.
(Schizzo trasmesso dal
dottor Ariodante Mariani di Verucchio)
(illustrazione
tratta da Rimini: Un Condottiere au XVe
siècle …,
Fig. 15 p. 26)
La sua opera
su Rimini e la Corte malatestiana, anche se non tradotta in inglese come quelle
su Firenze e Venezia[xvii],
ebbe comunque una vastissima influenza sulla conoscenza della città di Rimini e
del suo territorio. E questo nonostante — occorre ben sottolinearlo — le sue
pubblicazioni abbiano avuto una tiratura e quindi una diffusione limitata,
perché raramente erano libri popolari destinati al grande pubblico. Ma
nell’Ottocento il francese era la lingua internazionale per eccellenza: quello
che leggeva l’élite parigina, il giorno dopo lo leggeva il mondo[xviii].
Il principale merito che va assegnato all’Yriarte,
scrittore famoso e apprezzatissimo alla sua epoca e oggi misconosciuto, fu
certamente quello di essere riuscito a «sprovincializzare» con la sua opera —
finalmente provvista di una quantità enorme di documentazione tratta dagli
archivi, nonché di un sontuoso apparato iconografico — la conoscenza e gli
studi sui monumenti e sull’arte del primo Rinascimento italiano, conoscenza e
studi fino ad allora relegati in ambito nazionale e specialistico. Rimini e
Urbino, i loro circostanti territori (le terre malatestiane e del Montefeltro),
meritavano d’essere famosi per il loro cruciale ruolo nel Rinascimento
italiano. È, dunque, con Yriarte che il ruolo della Corti rinascimentali dei
Malatesta e dei Montefeltro, per lungo tempo come escluse dai percorsi geografici
e delle relazioni culturali,
riceve la sua definitiva consacrazione mondiale.
In quest’opera di diffusione culturale Yriarte
aveva avuto pochi predecessori, ma altrettanto illustri, cui si devono, nella
seconda metà dell’Ottocento, preziose e rare testimonianze: Jacob Burckhardt
nel 1860 (con la menzionata Civiltà del Rinascimento in Italia, tradotta
in italiano nel 1878), il popolare storico inglese John Addington Symonds
(1840-1893), autore di Renaissance in Italy, opera in più volumi
pubblicati tra il 1875 e il 1886 (che quindi più che un precorritore si può
considerare un concorrente).
Yriarte fa tornare Rimini, Urbino e i suoi
territori con le rocche che
li circondano lungo i sentieri del Grand Tour, fin dalla seconda metà
dell’Ottocento, quando Rimini risorge, anche grazie alla ferrovia lungo la
linea Bologna-Ancona, come stazione balneare. Del nostro territorio, infatti,
in un certo senso, si erano perdute le tracce, forse a causa delle omissioni
del Vasari, forse per una non certo brillante dominazione papalina, succeduta
prima ai Malatesta e quindi ai Montefeltro, e che vedrà, dopo secoli, le menti
più brillanti delle Romagne tentare di scuotere il giogo pontificio fin dagli
albori del Risorgimento.
Dopo il plebiscito che univa le Romagne al resto
d’Italia, l’anno dopo, nel 1861, si inaugurava il tratto ferroviario
Bologna-Rimini ed il seguente anno quello Rimini-Ancona, con solenne
inaugurazione alla presenza di re Vittorio Emanuele II il 10 novembre. Nel
breve volgere di qualche lustro lo sviluppo delle strade ferrate consentiva a
Yriarte, proveniente dai Balcani, di percorrere a tappe la dorsale adriatica,
dall’Istria, ancora tutta austriaca, fino a Bologna, e da qui a Ravenna fin giù
a Otranto. De Ravenna a Otrante è appunto il titolo di un suo articolo apparso
nel 1877 sul periodico illustrato Le tour du monde, relazione del suo
viaggio del 1874, anticipatoria di Les Bords de l’Adriatique. Lanciata così, da un erudito francese, Rimini veniva fatta conoscere più largamente e messa in valore; una Rimini, che Charles Yriarte aggiunge a Venezia e a Firenze come terza capitale del Rinascimento. La valanga messa in moto a Parigi è ormai inarrestabile. Fino ad allora non si sapeva molto bene che cosa significasse questa città, ma Rimini, dopo qualche anno, è un soggiorno estivo ricercato da italiani e stranieri.
Infatti, come si è detto, il lussuoso volume di Yriarte ebbe effetti prodigiosi su più diversi testi, da quelli enciclopedici alle prime guide turistiche, su novelle, drammi, poesie e studi eruditi, e tutti ripeteranno per decenni le asserzioni di Charles Yriarte. Così, fin dal 1886 al 1929, ogni edizione (dalla nona alla quattordicesima) dell’Encyclopaedia Britannica includerà la voce ‘Rimini’, compilata dallo storico Pasquale Villari. Anche la celebre e impareggiabile undicesima edizione dell’Encyclopaedia Britannica, summa della conoscenza europea uscita nel 1911, ripeteva, dunque, lo stesso articolo apparso nel 1886[xix].
Infatti, come si è detto, il lussuoso volume di Yriarte ebbe effetti prodigiosi su più diversi testi, da quelli enciclopedici alle prime guide turistiche, su novelle, drammi, poesie e studi eruditi, e tutti ripeteranno per decenni le asserzioni di Charles Yriarte. Così, fin dal 1886 al 1929, ogni edizione (dalla nona alla quattordicesima) dell’Encyclopaedia Britannica includerà la voce ‘Rimini’, compilata dallo storico Pasquale Villari. Anche la celebre e impareggiabile undicesima edizione dell’Encyclopaedia Britannica, summa della conoscenza europea uscita nel 1911, ripeteva, dunque, lo stesso articolo apparso nel 1886[xix].
Con lo sviluppo della rete ferroviaria e la
crescita del turismo d’èlite i nomi di Sigismondo Pandolfo Malatesta e di
Federico da Montefeltro arrivavano ad essere presenti anche in fonti meno
prestigiose dal punto di vista letterario, ma di ben più ampia diffusione come
le guide turistiche e i libri di viaggio. Anche i nostri territori facevano
quindi il loro ingresso nelle notissime guide Baedeker[xx], così come, pochi anni dopo, nella guida turistica francese Petites
villes d’Italie di André Maurel, nelle sue tredici ristampe della terza
edizione dal 1906 al 1920.
Sull’influenza
dei suoi libri e di come sulle orme di Yriarte
giunsero nei nostri luoghi Frederick Hamilton Jackson, Edward Hutton,
Ezra Pound,
Adrian Stokes, Aldous Huxley, Bernard Berenson, Aby Warburg ed Henry de
Montherlant, ce ne siamo occupati in altro
luogo.
Il fatto che
Yriarte non abbia né a Rimini né in una qualsiasi cittadina malatestiana
nemmeno una via a lui dedicata, cosa che di recente sembra non negarsi a
nessuno, ha a che fare con quello Zeitgeist che ha fatto precipitare l’Italia al
ventisettesimo posto mondiale nella classifica dei paesi turistici, quando la
nostra nazione dovrebbe essere, legittimamente, in testa. C’è materia per
indignarsi e c’è da chiedere, più subito che presto, di cambiar registro.
Ai brividi del consumo culturale di massa, alle
emozioni del libro e del catalogo patinato, che peccano più in omissioni che in
opere, ci è dato preferire un’opera più umbratile: la scoperta, il restauro,
anche minimo, fuori dal disciplinamento ufficiale e dai canoni consueti, di
qualcosa di sconosciuto, dimenticato, distrutto, eppure testimonianza del
passato. Un patrimonio unico che purtroppo non rientra neppure nei
piccoli e costosi depliant turistici in lingua inglese, che di certo non danno
nessun imput alla storia che qui si è tentato, se non di raccontare, di accennare.
Non c’è da sorprendersi se i turisti stranieri affollino solo Firenze e
Venezia, che sono gremite e sfigurate. È il loro riaffiorare improvviso a dare il piccolo piacere autentico di un
incontro inatteso, la minuta speranza che la scoperta di queste radici, che
taluno vorebbe tranciate, possano magari sovvertire il presente e allargare gli
orizzonti del futuro.
Una paziente indagine sulla letteratura odeporica
delle nostre rocche, di cui qui si è cercato di offrire un piccolo assaggio di
un ricco nutrimento per chi è insaziabile di nuove sensazioni in territori
ignoti e negletti, non è un’occupazione
stravagante. Il trascorso istituto del Grand
Tour contemplava, assieme a una formazione generale (conoscenza delle
lingue, istituzioni e civiltà diverse), anche l’acquisizione di un nuovo modo di «vedere» la
realtà. Quelli di allora (ma ancora taluni di ora) erano viaggiatori attirati
dal giardino d’Italia, un
giardino aldilà del giardino, e dal giardino di sogno di un paese che vedevano
come un concentrato della storia.
La funzione delle rocche rispondeva ad esigenze
militari. Lo stesso Yriarte ci spiega:
Questa disposizione verso lo studio
del genio militare era d’altronde appieno nei costumi e nel gusto del tempo; i
principi delle Marche e delle Romagne sono stati alla testa di questo
movimento. Federico d’Urbino è restato il celebre ingegnere del suo tempo;
Francesco Maria della Rovere s’è acquistato una reputazione in questa
specialità, e Lorenzo de Medici, a detta di padre Alberto Guglielmotti, dirigeva
gli ingegneri militari fiorentini. Alfonso di Ferrara, pure, spesso s’intitola
«Bombardiere». Nel magnifico palazzo dei duchi di Urbino, residenza dei
Montefeltro, si vedono ancora oggi una serie di settantadue bassorilievi di
marmo rappresentanti tutto il materiale delle macchine da guerra in uso nel XV
secolo: baliste, catapulte, bombarde, seghe per gli steccati, la cui esecuzione
è attribuita allo scultore Ambrogio da Milano, allievo del celebre pittore
Barocci di Urbino. Tutti gli elementi che compongono questi bassorilievi,
eseguiti nel 1464, sono tratti dall’architetto militare Francesco di Giorgio,
che era alla corte di Urbino ciò che Roberto Valturio era alla corte dei
Malatesta, ma che aggiungeva alla sua scienza profonda il gusto purissimo nel
disegno e la scienza d’un architetto consumato.
È probabile che Sigismondo, portato d’istinto alle
cose belliche, abbia fatto principalmente studi sull’armamento e sulla
fortificazione. È più probabile ancora, avendo fornito i disegni delle
fortificazioni di Ragusa e di Rodi, che egli abbia giocato un considerevole
ruolo nella costruzione della Rocca Malatestiana. In ogni caso, non abbiamo
affatto da dubitare che gli si debba, se non l’invenzione delle bombe, come
dice Roberto Valturio, quantomeno il grande perfezionamento che vi apportò
costruendo per la prima volta il proiettile che, fino allora, era in legno cavo
cerchiato di ferro e provvisto d’una miccia.[xxi]
Avanzi
della Rocca: fortezza dei Malatesta, Signori di Rimini
(illustrazione
tratta da Les Bords de l’Adriatique …, p. 533)
Sigismondo,
indubbiamente, come dice Adrian Stokes, era «oversize»[xxii],
di dimensioni più grandi del normale, anche nell’arte militare. Non fu solo
l’eccellente costruttore di un Tempio, di castelli, tra cui quello di Rimini,
«il primo castello progettato per resistere all’artiglieria»[xxiii].
Fu anche un espugnatore di questi ultimi, spendendo parte della sua vita come «assediatore
di città». Sigismondo,
vincitore del re di Aragona, incoronato dai Fiorentini, meritò per i posteri il titolo
di POLIORCETES SEMPER INVICTVS, come mostra la leggenda del disegno di una
medaglia di Pisanello (o forse di Matteo de’ Pasti) ora perduta, fusa in
occasione della presa della città di Vada. Sempre col titolo di Poliorcete è
pure ricordato da Roberto Valturio nel De re militari, come anche da Pound nei
suoi Cantos (IX/36), che nomina
Sigismondo con l’epiteto dell’antico re di Macedonia Demetrio (336-283 a.C.).
Sigismondo Poliorcete,
incisione di una medaglia ora perduta
(da Memorie istoriche di Rimino e de’ suoi
signori artatamente scritte ad illustrare la zecca, e la moneta riminese …, nella stamperia di Lelio Della Volpe, In Bologna, 1789, part. della tav.
3)
Oggi sappiamo che, alla fine dei conti, Sigismondo
soprintese alla costruzione o al rinnovamento di oltre cento fortificazioni[xxiv]. Si è
detto che il vecchio adagio inglese che recita “la casa di un uomo è il suo
castello” (a man’s home is his castle),
ben si adatta a questo mecenate quattrocentesco. Sul simbolismo associato ai
castelli nel Rinascimento si è persino scritto qualcosa[xxv].
Ma il guerriero che costruisce
nuove rocche e rafforza quelle esistenti o le prende d’assalto ha sovente la
generosità del vincitore. Non è infine sorprendente come con i Malatesti, i
Medici, gli Este, gli Sforza, i Montefeltro, i Gonzaga e i grandi pontefici,
l’Italia, già regina nell’antichità, riprendesse lo scettro e il dominio del
mondo in nome della forma e dell’idea.
È tuttavia innegabile che l’attenzione su questo tema, può essere posta anche
su paramentri psicologici. Tempio e Castello/Castelli rappresentano la sintesi
di meditazione e opera. Ecco come Roberto
Assaggioli procede in chiave psicologica offrendoci una geografia
antropologica:
Titurel trova e sceglie i suoi
collaboratori e crea così il Gruppo e ne dirige le attività. Questo è un
simbolo della psicosintesi interindividuale. In collaborazione, i Cavalieri
costruiscono il Castello e il Tempio; il Castello è un simbolo di potenza,
mentre il Tempio è il simbolo dell’aspetto religioso, dell’Amore, il luogo di
comunione con lo Spirito. [...] il Castello viene costruito a difesa contro gli
attacchi ostili dell’intero territorio scelto quale dimora dei Cavalieri;
mentre il Tempio è il luogo dove essi compiono le loro cerimonie [...] il
Castello rappresenta l’aspetto umano ed il rapporto col mondo esterno, e il
Tempio rappresenta la vita interiore e la sorgente dell’ispirazione per le
attività esterne.[xxvi]
Lo spostamento fisico con la visita di una Rocca,
se vissuto con immedesimazione del Sé, diviene così un’applicazione della Tecnica dell’Ascesa
e può perciò coincidere
con una trasformazione spirituale del viaggiatore, che è sempre «un uomo
insoddisfatto della vita ordinaria», un archetipico cavaliere del Graal, e mai
un turista presuntuoso e frettoloso.
Moreno Neri
[i]
Charles Yriarte, Les Bords de
l’Adriatique et le Monténégro: Venise, l’Istrie, le Quarnero, la Dalmatie, le
Monténégro et la rive italienne …, ouvrage contenant 257 gravures sur bois et 7
cartes, Librairie Hachette et Cie, Paris, 1878, p. 525-526. La traduzione,
come per i brani seguenti tratti dal medesimo volume, è nostra. Una lunga
anticipazione di questo testo apparve nel 1877, in un articolo di 80 pagine
corredate da illustrazioni, pubblicato nella rivista Le Tour du Monde: nouveau journal des voyages sotto il
titolo «De Ravenne à
Otrante». Lo stesso articolo del grande e serio periodico illustrato francese,
in versione italiana, fu pubblicato
a Milano da Treves a dispense, nel 1878, sotto il titolo «Il giro del mondo -
da Ravenna ad Otranto». Un’altra
edizione italiana, successiva di un lustro, è Le rive
dell'Adriatico e il Montenegro: Venezia, Chioggia, Trieste, l'Istria, il
Quarnero e le sue isole, la Dalmazia, il Montenegro, Ravenna, Ancona, Loreto,
Foggia, Brindisi, Lecce, Otranto / di Carlo Yriarte,
Fratelli Treves, Milano, 1883. Oggi vedi anche i capitoli VIII-IX (pp. 479-591),
edizione anastatica sulla base dell’edizione Hachette in versione digitale a cura di
Alessandra De Paolis, nella collezione di edizioni digitali del CISVA (Centro
Interuniversitario Internazionale di Studi sul Viaggio Adriatico),
integralmente riprodotti e scaricabili in pdf: http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR/biblioteca_digitale/titoli/scheda_bibliografica.2011-02-08.0041548579
[ii] Charles Yriarte, Françoise
de Rimini dans la légende et dans l’histoire; avec vignettes et dessins inédits
d’Ingres et d’Ary Scheffer, J. Rothschild, Paris, 1883. In esso l’autore non manca
di sollevare la questione di dove avvenne il fattaccio. Rimini, Santarcangelo o
Pesaro? Yriarte, con valide ragioni, propende per la prima città. Quanto a
Gradara, essa non viene neppur nominata. Giacché, anche se poco noto ai più, la
localizzazione dell’assassinio nel suo castello è invenzione degli anni ’30 del
secolo scorso, basata su una dubbia tradizione popolare, e rafforzatasi con
strategie di pubblicità turistica nei successivi anni ’60, con indubbia
generosità o noncuranza da parte della città di Rimini, allora più affaccendata
in materiali opere di cementificazione che in quelle culturali. La stessa rocca
di Gradara è una Francescaland, un
discutibile rifacimento novecentesco ad uso turistico.
[iii] Charles Yriarte, Rimini: Un Condottiere au XVe
siècle. Etudes sur les lettres et les arts à la cour des Malatesta d’après les
papiers d’état des archives d’Italie: Avec 200 dessins d’après les monuments du
temps Paris, J. Rothschild Ed., Paris, 1882, p. 22. Trad. it. di Moreno
Neri, Rimini: Un Condottiero del XV
secolo. Studi sulle lettere e le arti alla corte dei Malatesta secondo le carte
di stato degli archivi d’Italia — con 200 disegni dai monumenti del tempo,
Raffaelli Editore, Rimini, 2003, p. 31.
[iv] Il riferimento è
all’illustrazione originale di «San Francesco, il Tempio dei Malatesta, a
Rimini» in p. 534 di Charles Yriarte, Les
Bords de l’Adriatique…. L’illustrazione è stata riprodotta in Visitatori celebri nel Tempio di Rimini — E.
M. Forster: Gemisto Pletone; Il Sepolcro di Pletone — Aldous Huxley: Rimini e
Alberti — Adrian Stokes: Pisanello, Primo di quattro saggi sul Tempio
Malatestiano di Rimini. Introduzione, traduzioni e note a cura di Moreno Neri,
Raffaelli Editore, Rimini, 2004, p. 26, in alto.
[v] Charles Yriarte, Les Bords de l’Adriatique…, pp. 533-535.
[vi] Sull’effetto del lavoro di
Yriarte su Rimini in rapporto a E. M. Forster, Aldous Huxley, Adrian Stokes,
Ezra Pound, Bernard Berenson, ecc., vedi la mia introduzione al citato Visitatori celebri nel Tempio di Rimini,
pp. 5-59.
[vii] Charles Yriarte, Les Bords de l’Adriatique…, pp. 535-536.
[viii] Su Yriarte vedi
innanzitutto l’articolo contemporaneo a lui dedicato in Pierre Larousse, Grand
Dictionnaire universel du XIXe siècle, vol. 15, Paris, 1870, p.
1431 (rist. anast. in 2 voll. Slatkine, Genève - Paris, 1982). Si rinvia
inoltre al nostro articolo «La Scoperta di
Rimini artistica e turistica. appunti di viaggio di Charles
Yriarte, intellettuale francese dell’Ottocento» (prima parte) e (seconda
parte), in L’Albero, anno I, n. 1,
2007, pp. 31- 35 e anno II, n. 1, pp. 32-39. La terza parte del lungo articolo
è rimasta inedita.
[ix] Edmond
de Goncourt - Jules de Goncourt, Diario. Memorie di vita letteraria (1851-1896),
scelta, traduzione e introduzione di Mario Lavagetto, Garzanti, Milano, 1992,
p. 434.
[x] Ibid., p. 402, 406, 433 e 434.
[xi] Vedi il suo necrologio: Albert Kaempfen, «Charles Yriarte», in Gazette
des Beaux-Arts: Courrier Européen de l’Art et de la Curiosité, serie 3,
vol. 19, 1898, pp. 431-433.
Per alcuni dati biografici di Charles Yriarte, oltre al necrologio, vedi: Angelo De Gubernatis, «Yriarte (Carlo)», in Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, coi tipi dei successori Le Monnier, Firenze, 1879, II, p. 1075; «Yriarte
[iria´rt], Charles Émile», in Nordisk
familjebok, 1a Ed., vol. XVIII, Aktiebolaget
familjebokens, Stockholm, 1894, col. 125 e 2a
Ed., vol. XXXIII, 1922, col. 590; Maurice Tourneux, «Yriarte,
Charles-Emile», in La Grande Encyclopédie:
inventaire raisonné des sciences, des lettres et
des arts / par une société des
savants et de gens de lettres; sous la direction de MM. Berthelot, ... Hartwig Derenbourg, … F.-Camille Dreyfus, … A. Giry [et al.], vol. 31, Société
Anonyme de la Grande Encyclopédie, Paris, 1902, p. 1290; Charles Yriarte, «Memoires de
Bagatelle: VI», in La Revue de Paris 10, 1903,
pp. 380-414; Charles Yriarte, «The Hertford House Collection
Bequeathed to the British Nation», in Pall
Mall Magazine, 1900, pp. 4-18.
[xii] Charles Yriarte, Goya, sa biographie, les fresques, les
toiles, les tapisseries, les eaux-fortes et le catalogue de l’oeuvre, Henri
Plon, Paris, 1867. Libro classico nella bibliografia goyesca, fino a non molti
anni di difficilissimo accesso per quell’ampio pubblico interessato a Goya, e
che si distingue, soprattutto, per la bellezza e qualità della sua edizione,
per non parlare della pulizia tipografica in cui spiccano cinquanta curatissime
immagini delle opere di Goya, molte di pugno dello stesso Yriarte, nell’ottobre
1996 il Gobierno de Aragón ne ha ristampato un’edizione in facsimile
dell’originale francese, accompagnata da una traduzione in castigliano,
presentandola a Saragozza. Dal 18 giugno 2006 il
libro è stato digitalizzato su Google
Libri e pertanto può essere visionato e scaricato al seguente url: http://books.google.it/books?id=8UIBAAAAQAAJ&printsec=frontcover&dq=yriarte+goya&lr=&ei=MyjqR6_UHoKWzASwor2Ydg. Va anche segnalato su Goya
il saggio di Yriarte, Goya aquafortiste,
sulla rivista L’Art, vol. 9 (1877),
pp. 3-10, 31-40, 56-60, 78-83.
[xiii] Costituita dai primi
quattro marchesi di Hertford e dal figlio naturale del quarto marchese, Sir
Richard Wallace, la raccolta, nota come la Wallace
collection, una delle maggiori collezioni private al mondo, fu donata nel
1897 allo Stato inglese e aperta al pubblico nel 1900. La sede del museo è una
sorta di castello francese in miniatura, Hertford House, costruito nel cuore di
Londra, dimora dei marchesi. Il museo rappresenta una delle più belle
collezioni private d’arte mai assemblate prima da una famiglia. Molte delle
opere presenti erano conservate nel castello di Bagatelle nel Bois de Boulogne,
residenza francese del marchese e di cui Yriarte era conservatore (vedi in
proposito, in particolare Charles Yriarte, «Memoires de
Bagatelle: VI», in La Revue de Paris 10
(1903), pp. 380-414 e Charles Yriarte , «The Hertford House Collection
Bequeathed to the British Nation», in Pall
Mall Magazine, 1900, pp. 4-18). La collezione comprende una notevole raccolta d’arte
francese del XVIII secolo con dipinti, mobili e porcellane, miniature, statue,
persino armature poltrone, tavolini, orologi rococò, ceramiche italiane. Tra i
quadri, opere italiane (Tiziano, Foppa, Canaletto, Guardi), spagnole
(Velazquez, Murillo) e fiamminghe (Hals, Rembrandt, Rubens, van Dyck) e quadri
di pittori inglesi e francesi (Gainsborough, Poussin, Watteau Delacroix,
Fragonard). La galleria possiede una preziosa collezione di arredi e di oggetti
vari: armamenti reali e opulente esposizioni di scatole d’oro, sculture d’arte
del periodo rinascimentale. Il museo rispetta fedelmente la disposizione degli
oggetti prevista alla morte di Lady Wallace. Ciò che si visita, dunque, non è
tanto un museo quanto la casa di ricchi collezionisti di oltre un secolo fa,
interessante per qualità ed eclettismo. Il museo non è molto conosciuto, quindi
si può visitarlo con calma e senza resse. Da notare che l’ingresso è gratuito
per espressa volontà dei coniugi Wallace, che posero anche come condizione del
lascito allo Stato inglese che tutto nella casa rimanesse come loro l’avevano
lasciato, impedendo che la collezione fosse smembrata.
[xiv] Charles Yriarte, «Les
relations d’Isabelle d’Este avec Léonard de Vinci, d’après des documents réunis
par Armand Baschet», in Gazette des Beaux-Arts, vol. I - ser. 2, 37, 1888, pp.
118-131; Charles Yriarte, «Isabelle d’Este et les artistes de son temps», in
Gazette des Beaux-Arts, ser. 3, 13, 1895, pp. 13-32.
Come noto, Isabella d’Este (1474-1539) è la
protagonista del celebre
libro di Maria Bellonci Rinascimento Privato, vincitore dello Strega nel 1986.
[xv] Su Cosmopolis n. 15, marzo 1897, vol. V, pp. 738-761, pubblicava il
suo ultimo saggio La maison de Mantegna à
Mantoue et «les triomphes de César» à Hampton Court.
[xvi] Cfr. Giuseppe Vaccaj:
Disegni e dipinti dal 1856 al 1912 / a cura di Giuseppe Appella; Fondazione
Cassa di Risparmio di Pesaro - Montani Antaldi Mostre, Il lavoro editoriale,
Ancona, 2000, p. 169.
[xvii] Charles Yriarte, Florence:
L’Histoire - Les Médicis - Les Humanistes - Les Lettres - Les Arts - orné
de 500 gravures et planches, J. Rothschild Ed., Paris, 1881. Pochi anni dopo
l’opera fu tradotta in inglese, prima in Inghilterra: Florence: its history,
the Medici, the humanists, letters, arts (illustrated with 500 engravings;
tr. by C. B. Pitman), S. Low, Marston, Searle, and Rivington, London, 1882; e
poi negli Stati Uniti: Florence: Its History, The Medici, The Humanists,
Letters, Arts, (new edition, revised and compared with the latest
authorities by Maria Hornor Lansdale), The International Press, H. T. Coates
& co., Philadelphia, PA, 1897.
Charles Yriarte, Venise: Histoire - Art - Industrie - La Ville - La Vie,
J. Rothschild, Paris, 1878,. Ben presto anch’essa tradotta in inglese da F. J.
Sitwell e pubblicata in Gran Bretagna e negli Stati Uniti: Venice: Its History - Art - Industries, and Modern
Life, G. Bell and sons, London, 1880; Henry T. Coates & co., Philadelphia (PA), 1896.
Va inoltre aggiunta in ambito anglosassone la sintesi
di Venice; fac-similes of colored photographs of St. Mark’s cathedral, the
Doge’s palace, the Piazza and Campanile, the Arsenal, the Grand Canal, the
Bridge of sighs, the Riva dei Schiavoni, the Rialto bridge, together with
half-tone engravings of drawings F. A. Stokes & brother, New York, 1889
e l’analoga descrizione veneziana, sotto altri titoli con stessi editore luogo e
anno, Gondola and palace: facsimiles of colored
photographs of the Doge’s palace; the Bridge of sighs; the Arsenal and the
Piazza and Campanile. Accompanied by selections from the text by Charles
Yriarte, e The Queen of the Adriatic.
[xviii] Grazie a internet e alle
nuove tecniche di stampa print on demand,
in particolare di testi fuori diritti, oggi molti dei libri di Charles Yriarte,
sono facilmente acquistabili in ottime ristampe facsimili, a poche
decine di dollari, su Amazon. Altrettanti suoi testi, qui menzionati, sono ora
facilmente consultabili e liberamente scaricabili in pdf sull’Internet Archive: http://openlibrary.org/authors/OL1152182A/Charles_Yriarte
Quando oltre una decina
d’anni fa mi accingevo a tradurre Rimini:
Un Condottiere au XVe siècle, la Biblioteca gambalunghiana di
Rimini, dei cento esemplari della tiratura, ne possedeva due copie di cui una
in cattivo stato. Per facilitare il mio lavoro, decisi di acquistarne una copia
da un libraio antiquario ad un discreto prezzo. Oggi, grazie a internet, non ne
avrei più bisogno.
Per dare un’idea dell’enorme
diffusione di questo libro, si tenga conto che dei due libri digitalizzati su
internet una copia proviene da Harvard e l’altra da Oxford; la copia di mia
proprietà viene addirittura da «Krishnalok / Kalimpong / West
Bengal / India».
[xix] I riferimenti esatti delle due edizioni citate sono:
Pasquale Villari, Rimini, in Encyclopaedia Britannica, vol.
20: PRU-ROS, Adam & Charles Black, Edinburgh, 1886 (9th ed.), p.
557-560; Id., Rimini, in Encyclopaedia
Britannica, vol. 23: REFE-SAIN, Cambridge University Press,
Cambridge, 1911 (11th ed.), pp. 344-347.
[xx] Vedi
Karl Baedeker, Italy. Handbook for Travelers - Second Part: Central Italy
and Rome, nelle sue edd. del 1900 e del 1908. L’impresa di Baedeker,
che aveva avuto inizio a Coblenza nel 1829 con una semplice guida turistica
dedicata alla valle del Reno, ben presto, con lo sviluppo del turismo per
strada ferrata, diveniva un fenomeno culturale. Ne assicurarono il successo e
la diffusione — oltre al contenuto informativo e preciso e allo stile pacato
che permetteva di ricondurre in un alveo rassicurante i fenomeni anche
imprevisti ed esotici che il viaggiatore, ricco e borghese, avrebbe osservato
sul posto — l’adozione, fin dal 1837, della lingua inglese, il formato
tascabile, il prezzo accessibile e la facile riconoscibilità del prodotto,
ottenuta grazie — per usare un termine mutuato dal moderno marketing —
al packaging: la tipica copertina verde.
[xxi] Charles Yriarte, Rimini: Un Condottiero del XV secolo …,
pp. 122 s.
Il giovane signore di Rimini
aveva già disegnato, a sedici anni, il progetto della fortezza di legno che
doveva servire nei festeggiamenti delle sue nozze con Ginevra d’Este. Si
trattava dunque proprio dell’affermazione di un’inclinazione particolare e, più
tardi, più volte, Sigismondo dirigerà i lavori dei suoi genieri, negli assedî
delle città. È lui che fornì i disegni delle fortificazioni di Ragusa e di Rodi,
al tempo in cui prestava servizio per la Repubblica di Venezia, pochi anni
prima della sua morte (1464). Gli storici militari non dubitano che sia stato
il primo ad aver avuto l’idea di fondere le bombe in bronzo, quando erano, in
precedenza, fatte di legno cavo, cerchiato in ferro (cfr. Carlo Promis, Memoria II: Dello stato dell'artiglieria circa l’anno Millecinquecento
e particolarmente delle dieci specie figurate da Francesco di Giorgio Martini, Tipografia Chierio e Mina,
Torino, 1841, Parte Seconda, p. 166)). Possedeva, a Rimini, un campo permanente
di studi militari come soli ne dirigevano i condottieri più rinomati. Là
i giovani nobili di tutta Italia potevano venire ad apprendere l’arte della
guerra, vicino a questo maestro sapiente impetuoso e duro che sceglieva pure,
con la stessa cura voluttuosa, le sue armature magnifiche, i suoi cavalli da
combattimento, e imprimeva su tutti gli equipaggiamenti dei suoi uomini il
disegno della sua cifra abbracciata a quella di Isotta.
Vi era
dunque qui, in lui, la manifestazione di un interesse costante per l’arte
militare e della fortificazione
[xxii] Adrian Stokes, Stones of Rimini; traduzione di Moreno Neri, Raffaelli Editore, Rimini, 2002, p. 193.
[xxiii] Ivi.
[xxiv] Vedi Maria Grazia Pernis &
Laurie Schneider Adams, L’Aquila e
l’Elefante: Federico da Montefeltro e Sigismondo Malatesta; traduzione di
Moreno Neri, Raffaelli Edore, Rimini,
2005, pp. 92 ss., con rinvii ad un’ampia bibliografia sul tema.
[xxv] Vedi Joanna Woods-Marsden, «Images of Castles in the Renaissance: Symbols of
‘Signoria’ / Symbols of Tyranny», in Art Journal
48.2, June 1989, pp. 130-137; Id., «How quattrocento princes
used art: Sigismondo Pandolfo Malatesta of Rimini and cose militari», in Renaissance Studies 3.4 December 1989, pp. 387-414.
[xxvi] Roberto Assagioli, Principi e metodi della
psicosintesi terapeutica, Astrolabio, Roma, 1973, p. 172.
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