da "Il Sole 24 ore", domenica 7 giugno 2015, pag. 28
ONTOLOGIA MASSONICA
L’arpa del Gran Maestro
I dialoghi di Lessing e
Herder mettono in luce l’armonia scaturita dall’unione tra illuminismo e
neoplatonismo
di Silvia Ronchey
Mozart e
Goethe, Mesmer e Lavater, Robespierre e De Maistre. Quasi nessun intellettuale nel
secolo della rivoluzione francese è riuscito a non essere massone. Il fatto è
che illuminismo e massoneria non solo avevano ideali comuni, ma condividevano
un linguaggio. Libertà, fraternità, soprattutto uguaglianza – tra classi e non
solo tra pari grado – erano parole d’ordine anzitutto massoniche, come si vede
bene negli scritti di due filosofi tedeschi, maestro e discepolo, illuministi e
massoni, ora raccolti e per la prima volta tradotti in italiano con testo a
fronte nel volume della collana di Giovanni Reale, Il Pensiero occidentale,
l’ultimo ad avere visto la luce prima della morte del suo ideatore e direttore.
L’Ernst e Falk di Lessing, suddiviso
in cinque contraddittori, e i Massoni di
Herder, due conversazioni che proseguono quelle del maestro, sono composti
programmaticamente nella forma platonica – e teatrale – del dialogo e da molti considerati
la vetta della filosofia massonica moderna.
Possiamo
davvero parlare di vetta, o di filosofia? In un celebre aforisma Nietzsche
scrisse che Herder «ebbe la sfortuna che i suoi scritti fossero sempre insieme
troppo nuovi e già invecchiati», fossero
«qualcosa di vecchio fin dal loro apparire». Forse aveva intuito una verità, ma
senza comprenderne le implicazioni. Forse quella attribuita da Nietzsche a
Herder è in realtà l’essenza del pensiero massonico: un pensiero antifilosofico
che ha il preciso intento di essere al di sopra della portata degli incolti e
al di sotto di quella degli intellettuali di professione.
Da parte
di entrambe le categorie finisce per essere sottovalutato, ma è a un altro
gruppo, per così dire mediano, che si rivolge: a quegli «uomini saggi che nei
vari Stati non soggiacciono ai pregiudizi della loro religione di nascita, che non
si lasciano abbagliare dalle elevate distinzioni civili, cui non ripugna
l’irrilevanza sociale, ma che sono superiori ai pregiudizi del popolo e sanno
esattamente quando il patriottismo cessa di essere virtù» – quegli uomini che
Lessing fa descrivere a Falk alla fine del secondo dialogo con Ernst e che compongono
il clero laico di una «chiesa invisibile».
Questi uomini
“saggi” univano al culto della ragione proprio dell’illuminismo quello dell’antica
sophia dei greci. Saggezza e ragione,
Weisheit und Vernunft, canta Sarastro
nel più celebre e diffuso manifesto massonico del Settecento tedesco, il Flauto magico di Schikaneder e Mozart.
Secondo Lessing e Herder la massoneria è sempre esistita perché i suoi principi
sono connaturati all’anima umana e perché il suo nucleo è innato, universale ed
eterno come l’anima mundi e come lo
spirito del mondo, il Weltgeist.
Che l’ontologia
massonica di Lessing affondi le sue radici non solo nella tradizione degli
antichi culti misterici ma specificamente in quella del neoplatonismo e nella
sua idea di anima del mondo è stato già da tempo argomentato dal curatore del
volume Moreno Neri, che ce lo ricorda a più riprese, sommessamente, con tipico
understatement, nell’immenso lavoro di traduzione e di commento. È solo apparente
il contrasto tra la matrice illuministica settecentesca e quella neoplatonica
antica e bizantina, anche questa permeata di egualitarismo e utopia sociale, anche
questa insieme mistica e razionale, esoterica e pratica, “speculativa” e “operativa”,
per usare una distinzione avversata da Guénon. È l’eredità delle scuole
platoniche e neoplatoniche greche, perpetuate carsicamente lungo tutto il
millennio di Bisanzio in un flusso ininterrotto
dove la distinzione tra paganesimo e cristianesimo era irrilevante, a trasmettersi
al rinascimento italiano e europeo per il concreto e personale tramite degli
ultimi emigrés bizantini guidati da
Giorgio Gemisto Pletone. È dalle fratrìai
di quei greci, trapiantate a nordovest all’inizio dell’età moderna, che nascerà
la fraternitas massonica
settecentesca, nuova e globale fratrìa di cui l’illuminismo tedesco sgombrerà
gli argini e sonderà i confini.
La complexio oppositorum
illuminismo-neoplatonismo è l’elemento della cultura se non della filosofia massonica che i dialoghi di Lessing e Herder,
grazie anche al loro commento, mettono in luce.
Se nell’unione sapienziale degli opposti si realizza l’armonia
universale, quella colossale arpa dalle molte corde che Herder vede in mano al
Gran Maestro del mondo, come annoterà Heine in calce al suo secondo dialogo, è
all’insegna di un’armonia discorde, dissonante e spesso dissacrante, che si
rifonda la mass-masonry, la nuova
massoneria massificata nel mondo della rivoluzione industriale.
Lessing
sostiene il diritto all’autoiniziazione, fondata sul riscontro individuale,
sull’intimo riconoscimento, sull’intuizione privata dei princìpi
massonici, contrapposta al ritualismo
narcististico dell’iniziazione esteriore. In politica legalista, democratico e
libertario, in questi scritti esoterici Lessing fa balenare così un ideale
anarchico e elitario, se non perfino reazionario, che culmina nel motto
sibillino con cui si chiude il primo dei contraddittori tra Ernst e Falk: «Le
vere azioni dei massoni hanno l’obiettivo di rendere superflua la maggior parte
di quelle che si considerano comunemente buone opere».
Più
leggibile e forse più attuale la formula con cui Herder definisce lo scopo della «ricostruzione massonica
dell’umanità»: essere onesti, prendere con semplicità in mano la cazzuola e «realizzare il bene là dove la politica dei
governi non arriva o fallisce, ovvero dare aiuto ai deboli, ai poveri e ai
giovani».
G.E. Lessing – J.G. Herder, Dialoghi per
massoni, a cura di Moreno Neri, Bompiani, pagg.542, € 30,00
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