A mio parere l’impegno massonico di oggi deve essere
una missione aperta ed eccelsa: senza annunci teorici. Ha l’obbligo di
coinvolgere i propri affiliati nell’impegno pratico di una uguaglianza e
fraternità che portino sollievo a una società sfinita da troppi poteri, con
salari insufficienti, mancanza di case, lavoro che prevede la sfruttamento e implica pericoli ed infermità.
Bisogna che la massoneria si impegni contro le
oligarchie, il feudalesimo agrario, la concentrazione dei monopoli con regole
antiumane ed antisociali.
È indispensabile che tutti abbiano la possibilità di
avere accesso alla intera cultura . Viviamo in un sistema che non integra
uomini liberi e di buoni costumi, ma costringe gran parte delle persone ad
alienazione, frustrazione e miserie. Può la massoneria chiudersi nelle sue
logge e non cambiare in questo senso il mondo?
In quanto politico militante ho due scelte:
adattarmi alla meschinità e tacere, oppure disconoscere il mio impegno in questa
massoneria.
Non
sono parole mie, ma potrei sottoscriverle quasi per intero. Al massimo, potrei con
più aderenza all’oggi sostituire quel “feudalesimo agrario” con un feudalesimo
“bancario”. Eh, già… perché sono le parole che Salvador Allende pronunciò in una sua “tavola” (la tavola,
nel gergo massonico, è un discorso fatto in loggia) del 2 giugno 1965, constatando
uno stato di cose che non interruppe la sua militanza massonica, che, anzi, ne
ricevette nuovo slancio e vigore.
Sto parlando di Salvador Allende
che, fedele a una tradizione familiare che risale al padre e al nonno paterno,
una figura indelebile nella memoria del nipote, il dottore Ramón Allende, che
pagava le medicine dei suoi pazienti indigenti ed era stato Gran Maestro della
Gran Loggia del Cile … dicevo di Salvador Allende, che, nella notte della sua
iniziazione, il 18 luglio 1935, nel suo testamento massonico (nella libera
muratoria il documento che si compila prima di “morire alla vita profana”)
rispondendo alla domanda su quali fossero i suoi doveri verso l’umanità scrisse:
L’uomo è solo un ingranaggio del
conglomerato sociale, di conseguenza, la sua vita dovrebbe essere al suo
servizio, ossia al servizio dei suoi simili.
Per
quanto il mio impegno sociale e politico sia stato espletato in gioventù fino
al 1996, ho trascorso gli ultimi vent’anni in parte a scrivere libri e su
riviste, in parte a percorrere un bel viaggio iniziatico, ricco e faticoso: in
breve, a imparare. Sia il primo che il secondo viaggio sono stati fertili in
avventure e in esperienze. Decidendo di intraprenderne un terzo, quello con
Casa Don Gallo e Rimini People – anch’esso verso Itaca come avrebbe detto
Konstantinos Kavafis – ho riempito la valigia di modestia e umiltà. E mi sono
incamminato in questo pellegrinaggio composito, formato da biografie ed
esperienze diverse, in punta di piedi, con discrezione e prudenza, dando una
mano se richiesta ed esprimendo il mio pensiero solo se ritenevo di aver da
dire qualcosa di assennato. Ben consapevole che questa mia collocazione poteva
dall’esterno essere oggetto di strumentalizzazioni e illazioni.
E,
difatti, la mia presenza, quella di un massone dichiarato, è servita a dare un
po’ più di pimento esotico alla rappresentazione di Rimini People come un carrozzone indefinibile formato
da comunisti italiani, ex pentastellati, civatiani, vendoliani e antagonisti
guidato da “una dama di carità stile caritas” o un’ilare combriccola,
meritevole di un qualche trattamento psichiatrico, che trova consenso giusto in
squalificati ambienti salottieri, radical-chic e massonici.
Sono
più o meno queste le opinioni espresse sui social-media, a quanto mi si
riferisce, da due soggetti che qui chiamerò Luca e Annamaria, data la
confidenza che mostrano verso la mia biografia e, ohibò, verso l’istituzione
cui appartengo. Confidenza, da parte mia, qui del tutto limitatissima alla
bisogna e alla necessaria reciprocità e che non intendo assolutamente estendere
oltre. Questo non per supponenza, ma perché avendo superato la boa dei sessanta
non mi piace più perdere tempo con la conoscenza di chi mi può spingere solo in
basso né dire gentilezze a chi non sa dire parole gentili e leali. Immagino,
poi, che Luca e Annamaria siano solo la punta visibile dell’iceberg, quelli che
ci mettono la faccia su “faccialibro”, ma che anche altri, avendo quella adatta
all’occasione, abbiano espresso, più riservatamente e con maggior pudore,
simili opinioni.
Vorrei
loro solo dire che se
avessero la macchina del tempo cinematografica di Emmett Brown, avrebbero
potuto fare le stesse improvvide e incaute dichiarazioni circa Allende e Unidad Popular che, in un’unica
coalizione, orribile a dirsi, riuniva la sinistra cristiana, radicali, azionisti,
socialisti, comunisti e sindacalisti. La stessa cosa avrebbero potuto dire del
Fratello Ernesto Nathan, il miglior Sindaco di Roma (almeno finora), il quale nei primi anni
del ’900, propose l’Unione
liberale popolare (il famoso Blocco), un’alleanza
elettorale fra repubblicani, radicali e socialisti e progressisti vari,
replicata in molti comuni italiani (tra i quali Rimini, basti pensare al
Fratello Arturo Clari, l’ultimo sindaco di Rimini democraticamente eletto prima
della dittatura fascista e il primo dopo la Liberazione). O anche dei vari
Fronti Popolari che sorsero nella seconda metà degli anni ’30 in Spagna con il
Fratello Azaña, in Francia e in numerosi paesi dell’America
latina con una massiccia presenza di massoni.
Ora,
i nostri Luca e Annamaria e i loro ignoti sodali non essendo, a quanto mi
consta, dei rivoluzionari o, chissà, degli anarchici, bensì, almeno i primi, persone
ben integrate nelle attività tipiche del loisir
rivierasco, non hanno certamente nessun obbligo di sapere che Che Guevara era
un massone, come qualche anno fa ha ricordato il mio amico Morris Ghezzi,
docente di Sociologia del Diritto all’Università di Milano e Gran Maestro
Onorario del Grande Oriente d’Italia, né di essere informati della totale adesione alla
massoneria di illustri pensatori e agitatori anarchici come Mikahil Bakunin, Pierre-Joseph
Proudhon, Elisée Reclus, Louise Michel, Andrea Costa e Francisco Ferrer. E di
nomi di militanti massoni della sinistra, classica o anche estrema, ormai
dimenticati, volendo, se ne potrebbero far riemergere a bizzeffe.
Il mio carissimo amico
Gustavo Raffi, nell’aprile del 2008, quando era ancora Gran Maestro del G.O.I.,
suscitò un certo subbuglio per la sua affermazione: Il cuore della
massoneria batte a sinistra. Nelle
logge della massoneria regolare non si discute di politica (e nemmeno di
religione). È quindi impossibile che la massoneria dia parole d’ordine in
politica ai suoi affiliati, ma lascia a loro ampia libertà
d’azione nel mondo profano, secondo la loro coscienza, sul terreno religioso,
filosofico e finanche politico. Nondimeno la massoneria insegna principi e
valori attraverso i suoi immutabili rituali e simboli. Se, pertanto, la
massoneria non agisce
collettivamente, ma lo fa individualmente attraverso uomini che ne fanno parte,
al di fuori dei templi, in campo sociale, è immaginabile, logicamente, che la
loro azione non possa essere in funzione dei principi massonici un’attitudine oggettiva,
bensì esclusivamente soggettiva nell’affrontare i problemi dell’uomo e della
società. Vale a dire che in massoneria non si trova se non quello che si è
capaci di scoprire da sé ed è solo questa propria personale maturazione che può
essere proiettata all’esterno. Raffi dovette correggere il tiro di
quell’affermazione che fu facilmente estremizzata dai soliti gazzettieri,
spiegando non solo che si trattava di un dato reale anatomicamente vero nel 99%
dei casi, ma anche politicamente vero nella maggior parte dei casi storici.
Questo non significa che non ci siano stati massoni che, nella loro
interpretazione soggettiva dei principi libero-muratorî, non abbiano aderito
alla reazione (si pensi a un de Maistre) o alla destra. È tuttavia innegabile
che la massoneria moderna fin dalla sua nascita ai tempi del libertinismo e
dell’illuminismo in questi ultimi tre secoli sia vissuta e fiorita, senza
subire usure dal tempo, per essersi di volta in volta tuffata nell’acqua
lustrale del progresso e del bene dell’umanità, assimilando e influenzando
sottilmente ogni nuova fase di civiltà. In nome di quel principio di
fratellanza e di quella luce che si vorrebbe fossero estese a tutta l’umanità,
i massoni hanno iniziato e spinto innanzi ogni movimento che potesse spezzare
le catene dell’odio e dell’oscurantismo.
Come ha recentemente
riportato una rivista americana la bibliografia internazionale sulla massoneria supera i centomila titoli. Non occorre
compulsarli tutti. Basterebbe sfogliare La Massoneria, il prestigioso 21° volume degli Annali della Storia
d’Italia dell’Einaudi, a cura dell’amico Gian Mario
Cazzaniga, filosofo politico e dirigente del movimento operaio e del PCI e PDS,
docente di Filosofia Morale all’Università di Pisa, per scoprire che la
sinistra è figlia o, quantomeno, nipote della massoneria. Ma che dico? Per
smontare la pseudo-narrazione propinata, che ironizza sulla presenza di un
massone in politica come fosse una novità da rivendere a qualche allocco, ci si
può accontentare di un riminese come Guido Nozzoli, cui è intitolata, come è
noto, una loggia. Avevo conosciuto Guido nei primissimi anni ’80, quando
lavoravo per il periodico giovanile Centolire,
per alcuni dei cui redattori il celebre inviato speciale allestiva
improvvisamente alcune misteriose conferenze. Capita spesso a chi entra in
massoneria di scegliersi un méntore. Come molti fratelli prima di me, scelsi
come saggia guida proprio Guido, partigiano, giornalista e scrittore,
protagonista delle lotte civile e politiche. E cercai di passare molto tempo
con lui. In quei tre scarsi anni che trascorsi con lui fino alla sua morte l’11
novembre 2000, capitava spesso che, frammezzate a questioni massoniche,
esoteriche ed alchemiche (queste ultime erano il suo interesse principale)
inserisse altri discorsi. Raccontava allora, tenendo svegli me e mia moglie, il
suo arresto a 25 anni agli inizi del ’43, durante il servizio militare, per
aver distribuito volantini intitolati Non credere,
non obbedire, non combattere. In quelle indimenticabili notti insonni ci parlava
di come aveva salvato San Marino dai bombardamenti degli alleati o la sua voce
si spezzava quando ricordava i Tre Martiri. Fu sempre iscritto al PCI e negli
ultimi anni aderì a Rifondazione e capitava qualche volta che le sue lucide
memorie e fascinose affabulazioni fossero interrotte da qualche telefonata di
Sandro Curzi per un consiglio su un titolo di Liberazione o per una sua implacabile argomentazione su un fatto
del giorno. Volle sul suo sepolcro il motto dialettale ne mors ne brej (né morso né briglia) per rappresentare l’assoluta
libertà, innanzitutto di ricerca, nel cammino dell’Uomo.
C’è dunque
da chiedersi come siano possibili nozioni così imprecise circa i massoni da
parte di Luca e Annamaria, candidati l’uno in Rimini in Comune (il
nome-foglia di fico per nascondere le vergogne riminesi di Rifondazione Comunista) e
l’altra nel PD. Due partiti che, indipendentemente dalle mutazioni
socio-antropologiche subìte, si dicono di sinistra o si “autoreferenziano” come
tali (come ci è stato illustrato ricorrendo all’iper-specialistico linguaggio
sistemico). E questo dice molto sullo spessore intellettuale di chi si candida
ad amministrare la nostra città.
Ma
questa potatura dei rami più antichi dell’albero genealogico della sinistra,
questa rimozione, e i conseguenti meccanismi di discriminazione e di rigetto, vista la quantità immensa di
informazioni che anche l’utente più smandrappato può ricevere da internet o
consultare su Wikipedia, non è solo la
rinuncia a questa possibilità da parte di coloro che sono troppo occupati a chattare
tra di loro sciocchezze che, come ci ha ricordato Umberto Eco, un tempo erano
limitate al bar del paese. Non è un problema di erudizione, di cultura, ma è
una questione pedagogica, oserei quasi dire di civiltà se non addirittura di psicagogia, ossia la possibilità di
accedere a dimensioni più elevate della psiche.
Riguarda un tema difficile
che è, più in generale, il rapporto con l’Altro, l’Estraneo, lo Straniero, il
Diverso. Che andrebbe sempre accolto, ospitato, ascoltato, compreso. È un tema che oggi si rivela di viva quanto drammatica attualità.
Ma i suoi scenari si aprono già in età molto antiche e sono oggetto di racconti
mitici a fini educativi. Uno di questi racconti è il naufragio di Ulisse
nell’isola dei Feaci, l’altro il mito di Filemone e Bauci: entrambi si rivelano
di estremo interesse non solo perché parlano di ospitalità a stranieri (nel
primo l’ospite si rivela un eroe, nel secondo i pellegrini poi mostrano il loro
volto divino), ma perché a questo tema sono legati quello del riscatto e della
rigenerazione, oltre a quello del cambiamento e della trasformazione, in vista
di un rafforzamento e non di una perdita dell’identità. Fatta la tara dei
proclami, stento a trovare grandi differenze tra le politiche identitarie e
quelle “autoreferenziali” di certa sedicente sinistra che rifiuta le nuove
forme di fare politica che mettono insieme persone diverse con obiettivi
concreti comuni. Occorre un’educazione ad hoc, un cambiamento di mentalità che
insegni a considerare nostro pari e nostro fratello ogni essere umano:
stranieri, disabili, sfruttati, emarginati per qualsiasi motivo. È
nell’importanza di nuovi modi di aggregazione trasversale e di mutualismo (“un
mondo che contenga molti mondi” come lo ha efficacemente descritto Manila Ricci),
di partecipazione dal basso, senza cappelli ed egemonie, in cui dobbiamo
continuare a confidare. Soltanto un movimento che abbia il coraggio di tener
duro e continui a proporre percorsi collettivi e attività non facili, sempre
contrastate da chi detiene il potere e determina ingiustizie sociali e
disuguaglianze, fa il bene della prossimità e dell’umanità intera e consentirà
quella felicità che oggi non vediamo più realizzarsi, ma che fino a ieri, almeno
fino alla mia generazione, si credeva possibile. E riusciva drasticamente a
cambiare il destino di una persona. Quanto alla trasformazione del mondo, quel
che conta è intraprendere il cammino. E additarlo a chi è in grado di capirlo.
P.S.
El
pueblo unido jamas sera vencido, / De pie, marchar que vamos a triunfar. /
Avanzan ya banderas de unidad, / y tu vendras marchando junto a mi / y asi
veras tu canto y tu bandera / al florecer la luz de un rojo amanecer / anuncia
ya la vida que vendra. // De pie, luchar, / que el pueblo va a triunfar. / Sera
mejor la vida que vendra / a conquistar nuestra felicidad / y en un clamor mil
voces de combate / se alzaran, diran, / cancion de libertad …
Il
popolo unito non sarà mai vinto, / In piedi, marciamo, che trionferemo. /
Avanzano ormai le bandiere dell’unità, / e tu verrai a marciare al mio fianco /
e così vedrai il tuo canto e la tua bandiera / al fiorire la luce di una rossa
alba / annuncia ormai la vita che verrà. // In piedi, combattiamo, / che il
popolo trionferà. / Sarà migliore la vita che verrà / per conquistare la nostra
felicità / e in un clamore mille voci di lotta / si alzeranno, diranno /
canzoni di libertà …
Sono
le parole, insieme alla mia personale traduzione, di una celebre canzone degli
anni ’70, scritta dal poeta, cantautore e regista cileno Victor Jara e musicata
dal gruppo degli Inti-Illimani, che
fu la colonna sonora con cui, nel 1970, Salvador Allende divenne Presidente del
Cile inaugurando una stagione politica, durata un triennio e tragicamente
finita, che la storia conoscerà con il nome di Unidad Popular.
Moreno Neri