UN DIBATTITO FRANCO?
Contro le
fallacie del fronte proibizionista
A questo illuminismo non
occorre altro che la libertà; e precisamente la più inoffensiva di tutte le
libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione, in tutti i
campi. Ma da tutte le parti odo gridare: non ragionate! L’ufficiale dice: non
ragionate, fate invece esercitazioni militari! L’intendente di finanza: non
ragionate, pagate! Il prete: non ragionate, credete!
(Immanuel Kant, Risposta alla
domanda:
che cos’è l’Illuminismo, 1783)
Avevo
promesso di offrire qualche
esempio pratico di “fallacie logiche” per mostrare quanto esse siano presenti
in quello che, nel nostro disastrato Paese, continua ad essere pomposamente chiamato
dibattito politico. Diciamo subito (per sintetizzare in modo efficace ciò che
ho già lungamente illustrato) che le fallacie logiche equivalgono, in un
ragionamento, a quelli che sono i falli in una partita di calcio
Ho scelto la notizia diramata
dall’Agenzia DIRE sulla conferenza
stampa delle comunità terapeutiche avvenuta negli ultimi giorni di luglio. La
si può leggere al seguente link: http://www.dire.it/26-07-2016/67580-cannabis-asociazioni-del-no-con-la-legalizzazione-1-milione-di-zombie/http://www.dire.it/26-07-2016/67580-cannabis-asociazioni-del-no-con-la-legalizzazione-1-milione-di-zombie/
L’articolo a firma di Antonio
Bravetti, giornalista professionista, riporta diverse dichiarazioni
virgolettate: quindi è un po’ difficile che abbia letto male.
La conferenza indetta contro
la proposta lanciata da un intergruppo parlamentare per la legalizzazione della
cannabis e dei suoi derivati è un bell’esempio di un concentrato di
combinazioni di fallacie diverse. Normale: i cattivi argomentatori di solito ne
usano molte insieme.
Per quanto le comunità di
recupero facciano un ottimo lavoro, del tutto stimabile, sorprende quanto
realmente dichiarato dai loro rappresentanti che inanella una serie di “fallacie logiche”, ossia modi di argomentare falsi, fuori
tema, irrilevanti e non validi. Trattandosi di addetti ai lavori e pertanto non
privi di nozioni di psicologia, c’è di che dolersi del fatto che quello che
hanno detto in questa occasione non sia per nulla all’altezza di ciò che fanno
quotidianamente e in modo benemerito.
Vediamo una per una le
fallacie argomentative presenti nelle loro dichiarazioni riportate in corsivo.
Essendo studiate fin dall’Antichità come ho in precedenza spiegato, quasi tutte
hanno conservato il vecchio nome latino.
“Liberalizzate le canne e avremo un milione di
giovani zombie, incapaci di distinguere i contorni della realtà, con i tempi di
reazione alterati, con la percezione distorta della realtà e degli affetti”.
Questa fallacia è nota con la
locuzione latina argumentum ad
consequentiam. Consiste nell’utilizzare uno schema argomentativo (causale)
inadeguato che conduce a rigettare un punto di vista descrittivo in ragione delle
sue conseguenze indesiderabili.
Il “punto di vista
descrittivo”, evidentemente manipolatorio, è dove si parla di
“liberalizzazione” e non di “legalizzazione” di una sostanza che si trova in
ogni dove e viene consumata, più o meno abitualmente, da almeno quattro milioni
di persone nel nostro Paese. In buona sostanza il mercato criminale di massa, illegale,
non è mai stato stoppato e pertanto il milione di “giovani zombi” paventato da
Meluzzi circola già da decenni nel nostro Paese. Sarebbe dunque il caso di
essere risparmiati dalle visioni alla Romero e di restare a contatto con la
realtà.
L’intento è quello quindi di
dissuadere da una seria analisi: invece di presentare ragioni contrarie a una
determinata azione, le premesse come le conseguenze offrono un pretesto per non
discuterne affatto ed evitare di affrontare i punti critici della questione.
Il fulcro della questione
infatti sarebbe, in questo caso di tipo quantitativo, discutere le conseguenze
della legalizzazione che può avere logicamente solo tre effetti: il numero dei
consumatori diminuirà o aumenterà
o resterà stabile.
Poiché ogni parte di questo
ragionamento (se A allora B) non è garantito da nulla e abbiamo dimostrato l’invalidità
della premessa A e anche della conseguenza B sotto il profilo quantitativo
concentriamoci sugli aspetti qualitativi-descrittivi. Ci troviamo di fronte a
un’altra fallacia di pertinenza chiamata “della brutta china” (o “fallacia
della china scivolosa” o in altri modi similari quali, ad esempio, “del piano inclinato”, “della china pericolosa”, “del pendio scivoloso” che traducono l’espressione
inglese slippery slope argument). È quella in cui si trae una conseguenza
presentata come inevitabile, inarrestabile e disastrosa ma, in realtà, del
tutto arbitraria: le frasi chiave potrebbero essere “gli dai un dito si
prendono un braccio” oppure “di questo passo dove andremo a finire”. Possono
esprimere saggezza e buon senso popolare, ma anche al tempo stesso un rifiuto
immotivato ad articolare razionalmente le proprie scelte morali. Ci si basa
infatti su una predizione che deve essere supportata dai fatti o su evidenze
empiriche con significative probabilità per essere considerata rilevante.
In questo modo si giunge a
una conclusione finale inaccettabile con la quale si intende rigettare come
altrettanto irricevibile la tesi di partenza. Si tratta di uno strumento
retorico, molto utilizzato dai politici conservatori e dai moralisti a buon
mercato, inteso a creare falsi allarmi sociali ogni qualvolta si tratta di
polemizzare con qualche innovazione da essi ritenuta inaccettabile. È stato
molto utilizzato in occasione dell’introduzione del divorzio e dell’aborto ed è
tuttora utilizzato quando si parla, per esempio, di eutanasia o di
sperimentazione sulle cellule staminali e fecondazione assistita (in quest’ultimo
caso, invece degli zombi si evoca Frankenstein). L’argomento qui utilizzato
somiglia infatti a quello contro l’eutanasia quando si afferma che, se venisse introdotta, i medici potrebbero uccidere chiunque e in particolare
disabili, invalidi e anziani, che i familiari sarebbero spinti a sbarazzarsi
dei congiunti vecchi e ammalati e che gli infermi sarebbero spinti a chiedere
la morte per non spendere in medicine e cure: se A allora B e poi C, fino a
giungere alla “china scivolosa” dei campi di sterminio; assomiglia ancora a
quello delle staminali e della fecondazione assistita che porterebbero a
forme di clonazione riproduttiva per ragioni eugenetiche non diverse da quelle
sognate da Hitler. Ovviamente
laddove l’eutanasia è permessa o dove la cannabis è legalizzata non accade
nulla di quanto si paventa con una buona dose di determinismo (del futuro)
catastrofico e orribile. Ma ai cattivi politici fa comodo che la gente lo
pensi. Insomma, una buona
fallacia per questioni etiche e bioetiche con accuse infamanti che
sarebbe bene smascherare decisamente e sulle quali non perdere tempo.
E comunque questa fallacia è
particolarmente “squisita” sotto il profilo dell’errore argomentativo. Infatti
non è solo una “fallacia di pertinenza o di rilevanza” (sono dette così perché
manca un nesso logico tra la premessa e la conclusione che si intende
sostenere, sono cioè “irrilevanti”). L’argomento della china scivolosa implica
quasi sempre anche un altro tipo di fallacia, quella che fa appello alle
emozioni e ai sentimenti. Abbiamo qui infatti quello che viene definito argumentum ad metum o argumentum in terrorem, l’appello alla paura, una
variante dell’argomento ad consequentiam, al quale spesso si sovrappone.
Consiste nell’evocare conseguenze
terrificanti o comunque negative per far accettare all’interlocutore la propria
opinione o per influenzare il suo comportamento nella direzione sostenuta,
attraverso la paura e il pregiudizio. Fa appello alle parti più irrazionali
delle persone e circonda di un alone di paura molte delle discussioni popolari
sulle più varie questioni. È dunque un ottimo strumento di persuasione usato
molto spesso in politica per diffondere allarme sociale. Il problema connesso
all’impiego di questo argomento è che scatenare la paura induce i destinatari
dell’appello a saltare istintivamente alle conclusioni invece di guardare
realisticamente ai fattori coinvolti in una decisione: la paura, offuscando la
lucidità mentale, annebbia il comportamento razionale e il calcolo delle
probabilità. Proprio per questo il suo impiego può implicare oltre a
riflessioni logico-argomentative anche una valutazione morale (e, talvolta,
addirittura legale se concorre in reati come la truffa) data la sua finalità di
compromettere la comprensione di un problema. Occorre, di nuovo, opporsi a
questo genere di appelli in quanto, con intenti se non truffaldini certamente
manipolatori, spostano l’attenzione dagli argomenti. Anche quando l’appello
alla paura fosse legittimo, è ragionevole bilanciarlo con reali prove o serie ragioni
che mostrino chiaramente quanto asserito.
“La
cannabis è dannosa e la legalizzazione non funziona: laddove è stata
legalizzata la prostituzione c’è stato un aumento della domanda che non ha
ridotto il mercato nero.
Abbiamo visto che anche i terroristi di
queste ultime settimane erano sotto effetto di stupefacenti”.
Eccezionale! Qui abbiamo una
bella sfumatura del famoso argumentum ad
hominem. Non si discutono le argomentazioni di chi propone la
legalizzazione, ma si associa indebitamente il consumo della cannabis prima
alla prostituzione e poi al terrorismo. L’irrilevanza di questi argomenti è
facilmente dimostrabile: è altamente probabile che “i terroristi di queste
ultime settimane” fossero lettori del Corano, bisogna dunque proibire questo
libro? Chi avanza argomentazioni di questo genere, cerca di ottenere il consenso sulla propria posizione screditando
la proposta rappresentandola innanzitutto come inutile e immorale e poi
pericolosa per la nostra incolumità (associare il consumo della cannabis al
terrorismo – lo dice la parola stessa – è di nuovo un argumentum in terrorem). Anche in
questo caso, anziché criticare e confutare
una tesi su di un piano logico-razionale, si attacca chi l’ha proposta
attribuendogli inesistenti “colpe per associazione” con una forte carica
emotiva e retorica. Si tratta di un vecchio arnese retorico, molto ben indagato
per sviare dalla sostanza dell’argomento: una tattica oratoria efficacemente e
ironicamente chiamata reductio ad
Hitlerum. Con questa argomentazione fallace può essere considerato non
etico, o comunque condannabile o deprecabile, dipingere, amare i cani o essere
vegetariani, tutte attività e inclinazioni in cui era coinvolto il dittatore
nazista.
Risulta lampante che argomentazioni di questo tipo sono un
disperato tentativo di sostenere la propria posizione in mancanza di argomenti
validi. Tuttavia se si riflette bene ci si accorge, ancora una volta, che chi
gioca questa carta non ha come reale destinatario di questa fallacia la
controparte della discussione, ma una terza parte, l’uditorio o i lettori (a
nessuno dei quali piace essere associato ai clienti delle prostitute o ai
terroristi). L’intento è quello di demonizzare gli avversari associandoli con
il male e di far così deragliare qualsiasi corretta discussione.
“Con
il disastro in cui versa l’Italia, con le minacce che incombono sull’Europa, il
flagello dell’immigrazione incontrollata, l’assedio alla cultura cristiana, è
possibile che la politica senta come grande emergenza la legalizzazione delle
canne? Se un extraterrestre si affacciasse ora sulla Terra resterebbe
inorridito. Credo che serva un rigurgito di saggezza contro questa deriva
folle”.
E i
due marò? Ce li vogliamo dimenticare?
Qui sopra abbiamo l’esempio
di una delle più note fallacie: l’ignoratio elenchi (la sua traduzione
approssimativa è “ignorare la questione”), forse la più nota mossa scorretta
nel gioco dell’argomentazione, la più grave violazione delle sue regole:
proporre questioni senza alcun rapporto col tema della discussione. Questa tecnica nasconde bene
il mancato utilizzo del modo adeguato di argomentare che consiste invece nel
citare dei fatti concreti che dimostrino il torto della tesi avversaria. L’importante
è andare fuori tema ed è perfetta per la distrazione di massa. Si ignora bellamente la questione in argomento ed è
abitudine per chi se ne avvale di accompagnare la mancanza di confutazione della tesi con una
bella manciata di sdegno e di insulti quanto basta, senza che i giudizi su
altre questioni non pertinenti (“il disastro in cui versa l’Italia, con le
minacce che incombono sull’Europa, il flagello dell’immigrazione incontrollata,
l’assedio alla cultura cristiana”) siano supportati dalla benché minima
dimostrazione, pur potendo in sé anche essere validi. Nel caso qui esaminato
(ma valido per tutte le fallacie di ignoratio elenchi) si giunge a una conclusione
irrilevante per l’argomento in corso: in breve le priorità sono altre (concetto
ribadito da uno dei due ineffabili ministri presenti alla conferenza). Infatti,
oggi si preferisce definire questa fallacia di rilevanza con un neologismo
recente: “benaltrismo”. Da tempo invece, nei Paesi di lingua inglese, questo
tipo di fallacia volta a confondere e distrarre è chiamata red herring (aringa rossa), perché l’aringa affumicata veniva
utilizzata per distogliere dalla traccia i cani dei cacciatori concorrenti
sviandoli su false piste.
Nel contesto politico è
diffusissima e spesso usata in modo deliberato, è una manovra diversiva per far
ignorare e far tralasciare l’argomento, si introduce un disordine concettuale
che mescola altre questioni non pertinenti e non correlate all’argomento in oggetto
con la funzione di distrarre da esso. Ancora una volta si fa leva su argomenti
retorici, populisti e qualunquisti, generici e fondati su luoghi comuni per
evitare l’obiettivo di una discussione razionale sul tema in argomento.
“Ci
pare schizofrenico che da una parte ci sia la legge sull’omicidio stradale e
dall’altra si voglia legalizzare la cannabis”.
Qui abbiamo una fallacia
strutturale: la falsa analogia. In un’analogia, due elementi sono presentati
come simili per il fatto di avere in comune una qualche proprietà. Ma un’analogia
non può avere estensione illimitata e, soprattutto, non può fondarsi sulla
condivisione di una sola proprietà. Infatti le analogie in sé non sono né vere
né false, presentano tra esse semplicemente diversi gradi, che vanno dalle
strette somiglianze alle estreme differenze. Nel caso contrario si parlerebbe d’identità
o di diversità.
Nel caso in esame la legge
sull’omicidio stradale e la proposta di legge sulla legalizzazione della
cannabis hanno in comune l’elemento che in entrambe si parla di sostanze
stupefacenti o psicotrope, ma hanno fini e obiettivi diversi. Limitandoci all’elemento
comune, come per l’alcol la legalizzazione della cannabis non comporta l’attenuazione
delle norme e delle pene previste dal delitto di omicidio stradale, e neppure
delle sanzioni previste dal Codice della strada per la guida in stato di
alterazione psico-fisica. Perciò tra omicidio stradale e legalizzazione della
cannabis non esiste alcuna proprietà significativa in comune come evidenziata
nell’argomentazione. In questo caso si dice che è basata su un’analogia troppo
debole o difettosa o impropria per poter sostenere il fine prefissato che, qui,
è un giudizio negativo sulla legalizzazione.
Le analogie deboli sono quasi
sempre un’alternativa retorica alla mancanza di altre prove o evidenze e
andrebbero sempre evitate in una corretta discussione politica. In una falsa
analogia non è necessario concludere il ragionamento, anzi a fini persuasivi è
più utile non farlo. Infatti, ciò che c’è di forte, per così dire, in questo
argomento è che si insinua e si suggerisce che con la legalizzazione della
cannabis si avrà un aumento degli omicidi stradali: un ennesimo argumentum in terrorem sopra esaminato. La scorretta enfasi posta con la messa
in rapporto alla legge sull’omicidio stradale induce chi legge a questo errore:
anche questa è un’altra fallacia di ambiguità chiamata “fallacia di enfasi”.
A proposito, dimenticavo … c’è
una falsa analogia anche nella dichiarazione sopra riportata dove si equiparano
gli effetti della legalizzazione della prostituzione con quelli della
legalizzazione della cannabis. Chiedetevi qual è l’elemento in comune per chi
ha posto l’analogia. Forse perché si tratta di rendere leciti dei piaceri
voluttuari, ovvero, per un moralista, dei “peccati”?
“Il 99% di persone che abbiamo avuto e abbiamo
oggi in trattamento [nella
comunità di San Patrignano, ndr] hanno avuto il primo contatto con la
cannabis. Purtroppo tra i giovani si sta diffondendo l’idea che la cannabis non
sia dannosa, il primo danno di questo dibattito è già fatto”.
È da circa trent’anni che
sento questo argomento: è un mantra di San Patrignano. Di tutte le
argomentazioni fallaci fin qui esaminate a prima vista potrebbe sembrare la più
seria perché finalmente, in qualche maniera, si affronta l’argomento. Purtroppo
si tratta di un “paralogismo”, ossia un sillogismo, un ragionamento concatenato
fallace.
Un sillogismo perfetto
funziona così: A implica B (premessa maggiore), B è vero (premessa minore),
dunque A è vero. Il classico esempio è: (premessa maggiore) tutti gli uomini
sono mortali, (premessa minore) tutti i
greci sono uomini; (conclusione) dunque tutti i greci sono mortali.
Accade purtroppo che se anche
le due premesse sono vere, la conclusione non lo è necessariamente. In un
paralogismo si dice che tale conclusione è un non sequitur (di nuovo un espressione latina che significa “non ne
consegue”).
Nel caso in esame l’affermazione
precedente assumerebbe questa forma: il 99%
dei tossicodipendenti ha avuto il
primo contatto con la cannabis (premessa maggiore); le persone consumano la cannabis ritenendo
che non sia dannosa (premessa minore); quindi il 99% delle persone che consumano cannabis diventeranno tossicodipendenti (conseguenza fallace). A onor del vero nella dichiarazione originale (anche qui
come già nel caso esaminato della “falsa analogia”) la conseguenza è utilmente nascosta
ma è altrettanto subdolamente inserita in quanto intenzionalmente implicita.
Nella figura i due insiemi rappresentano la quantità di consumatori di marijuana (ellisse più grande) e di eroinomani (cerchio più piccolo). La maggioranza dei tossicodipendenti ha consumato anche marijuana, ma, vedendo il grafico, non si può concluderne che i consumatori di cannabis diventeranno in maggioranza (anzi al 99%) eroinomani. |
Nel complesso siamo di fronte
a un mancato argomentare che pensiamo
di aver esplicitato per quanto possibile. Benché la questione della
legalizzazione della cannabis possa essere per molti controversa, il modo in
cui è stata affrontata non può che generare indignazione. È stato ignorato il
modo corretto di ragionare che caratterizza una buona discussione e infranta ogni regola di buona condotta nell’argomentazione.
Si resta perciò basiti o meglio stupefatti (per restare in tema) nel leggere,
alla fine dell’articolo oggetto della nostra indagine, che la ministra Lorenzin
ha osservato: “Spero che questa sia l’occasione per aprire un dibattito aperto
e franco…”, seguita dal collega il ministro Costa che ha auspicato: “Credo che
non ci debbano essere forzature parlamentari, che ci debba essere un dibattito
sereno”. Chi dunque desidera la dissoluzione di qualsiasi corretto confronto
politico non può che augurarsi che l’Italia sia governata da ministri simili.
Per concludere, sempre che
abbiate ancora la testa tutta intera dopo aver letto questo lungo articolo,
occorre stare molto attenti al significato e al senso dei discorsi. Conoscere
le fallacie di ragionamento aumenta la probabilità di smascherarle ed evitarle.
Ma soprattutto permette di
comprendere i motivi per cui un argomento è debole oppure no, valido o no, razionale
oppure no.
Allenatevi
a riconoscerle.
E diffidate dei politicanti e
dei loro gregari che ne fanno uso.
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