Da “LA VOCE DI ROMAGNA”, venerdì 7 ottobre 2016, p. 26
TESTA MATTA
70 anni fa Montherlant, scrittore
eccentrico, eretico e toreador
compone “Malatesta”. Scoprirà
poco dopo che la sua nutrice era
una
discendente di Sigismondo
Parole sante. «I peggiori nemici d’un
uomo sono i suoi compatrioti».
Le pronuncia Sigismondo Pandolfo Malatesta, secondo il Malatesta di Henry de Montherlant. La frase spiega, in modo
sintetico, i rapporti che Rimini stringe con i grandi suoi. Se può li
dimentica. Altrimenti, li defenestra. Sul Malatesta
di Montherlant abbiamo abbozzato un pensiero ieri, nelle pagine della cronaca
riminese. L’episodio, però, è esemplare: intorno al corpo di Malatesta, che il
prossimo anno fa 600 anni, hanno scritto due giganti della letteratura
occidentale. Ezra Pound (la porzione dei Cantos
dedicata al condottiero) e Montherlant, che 70 anni fa redige una pièce
teatrale, Malatesta, appunto, quasi
subito (nel 1952) tradotta in italiano da Camillo Sbarbaro, il poeta che si
studia anche a scuola, per Bompiani. Entrambi, però, Pound e Montherlant, sono
beatamente ignorati dalla città di Rimini, nella rappresentazione che di essa
ne danno i suoi amministratori. Il problema di fondo? Che Pound e Montherlant
sono delle bestie esteticamente titaniche ma politicamente poco
addomesticabili. Pound per i problemi che sappiamo (adesione fascista),
Montherlant, autore di romanzi bellissimi e fautore di «un’estetica del
contrasto e della diversità», nato 120 anni fa, perché devoto all’individualismo
assoluto, siderale, «Montherlant aspira
a una morale della qualità: ammira la cavalleria medioevale e l’ideale dei
samurai; le imprese impossibili
esercitano su di lui una strana
attrazione» (Favre). Pur Accademico di Francia, infatti, le bizze di Montherlant,
autore molto tradotto un dì (Mondadori e Bompiani soprattutto) e un faro
dimenticato oggi, nell’epoca dell’afasia e dell’automatismo (Adelphi ha in
catalogo il feroce Le ragazze da marito, mentre Aragno, l’anno scorso, ha pubblicato il
capolavoro teatrale del francese, Port-Royal),
non stavano né a destra né a sinistra. Toreador per sfidare la morte (nel 1925
un toro gli perforò il fianco), centometrista eccellente, calciatore notevole,
eroe della Prima guerra (fu solcato da sette schegge di granata), «stilista che
ausculta l’io, religioso dell’istante, cattolico per tradizione familiare ma
nel senso di una chiesa che manta la guardia al dio Pan, anarchica, uomo del
rinascimento» (Gianni Nicoletti), Montherlant ci lascia, nel giorno di
equinozio del 1972, quasi cieco, sparandosi. Di antica famiglia aristocratica, Montherlant succhiò il latte da una nobile
amica della madre, Marie de La Fontaine Soliers. La quale, «era discendente dei
Malatesta». La storia la narra l’eccentrico francese in Latte dei Malatesta (stampato in L’infinito è dalla parte di Malatesta, Raffaelli, 2004): l’amico Maurice Bedel gli
squaderna «una genealogia, stampata nel 1680», in cui la stirpe dei Fontaine Soliers
si connette ai Malatesta, con cui condividono lo stemma. «Ed è innegabile che la donna che mi diede il seno, a
pari con la mia nutrice, avesse legittimamente il medesimo blasone che aveva Sigismondo Pandolfo Malatesta».
Ergo: «che un autore scopra in questo modo, a cose fatte, una sorta di
parentela reale tra uno dei suoi eroi e lui stesso non vi è in ciò di che
sognare?». Micidiale Montherlant, che in un passaggio supremo della pièce, in
cui il Malatesta fronteggia e sfida il Papa, fa dire al gran riminese,
«Prendermi Rimini! A me! a me! a me! Ma il mare che batte le spiagge di Rimini
e vi si frange, ripete il nome di Malatesta». Montherlant, ossessionato dalla
figura del Malatesta (esiste anche un suo scritto sulla Medaglia d’Isotta scalfita da Matteo de’ Pasti), ammette, «quante
volte non ho sognato “Se potessi veder rappresentare Malatesta nella Rocca!”». II sogno si realizza il 28 luglio 1969,
quando «con un anno di ritardo sul cinquecentenario» (non le azzeccavano
neppure allora), Malatesta va in
scena a Castel Sismondo. Regia di José Quaglio, Arnoldo Foà a fare Sigismondo e
Tino Carraro nel ruolo di Paolo II. «Non
si allontaneranno da me le creature nate dalla Storia e dai miei sogni, dal mio
rispetto profondo e dal mio più profondo amore, miei figli e mie figlie quanto
più sicuri dei figli che la nostra carne distratta disperde nella materia
occasionale», scrive Montherlant, in un articolo offerto al “Resto del
Carlino”. Chissà perché a nessuno è venuto in mente di ripigliare il Malatesta.
Perplessità “politica”? Magari, qui si annega soltanto nell’ignoranza. (d.b.)
In scena a
Rimini nel 1969, ha passaggi
fulminei:
«Prendermi Rimini! A me!
Ma il mare
che batte le spiagge di Rimini
e vi si
frange, ripete il nome di Malatesta»
Non
abbiate paura di onorare Malatesta
LA CHICCA UN
BRANDELLO DALL’ARTICOLO DI MONTHERLANT PER LA MESSA IN SCENA
DEL SUO LAVORO A RIMINI. UN INNO ALLA POTENZA DELL’INDIVIDUO
CONTRO L’IDEOLOGIA
Malatesta vantava la sua discendenza da Scipione l’Africano, col sorriso
intimo, io credo, di chi non si lascia ingannare dai propri sogni ma getta nel
fuoco tutta ciò che gli si offre per avvivare la fiamma. Con quel medesimo
sorriso io stesso ho accolto un giorno la notizia che, se nel latte è contenuto
il sangue, in me c’era qualche goccia di sangue malatestiano, dal momento che
un’amica di mia madre, che mi allattò, discendeva dai Malatesta (ne constatai
la discendenza su di una pergamena vecchia di due secoli) e su di un anello
portava lo scudo di Sigismondo. E con quel medesimo sorriso accolsi un’altra
volta la frase di Jean Cocteau: «Montherlant è l’aquila a due teste: la testa
del Maitre de Santiago, quella di Malatesta». Quando Malatesta fu scomunicato,
spogliato della sua autorità, condannato al fuoco, i suoi sudditi fuggivano
davanti a lui come davanti al diavolo, e il gentile Novello suo fratello passava
alle truppe del papa. Gli Italiani di oggi non hanno timore di onorare la
memoria di questo eterno accusato. E ciò li onora perché così facendo non
celebrano il campione di una qualsiasi causa o ideologia nebulosa, destinata a
svanire nella nebbia; ma celebrano il raro personaggio in cui si condensarono
il talento, le conoscenze e le passioni.
Henry de Montherlant
Exit
Sognare
la mia morte
fa parte
integrante
dell’amore
che si
ha per me
Henry de
Montherlant
(da “Malatesta”)